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Lotta alle case vacanze abusive, il governo impugna la legge pugliese

SALENTO- La legge che è nata per dichiarare guerra alle case vacanza fantasma e agli abusivi del turismo finisce davanti alla Corte Costituzionale. A premere era stata Confedilizia Lecce, che ha sollecitato il governo, il quale alla fine, il 14 febbraio scorso, ha deciso di impugnare la norma della Regione Puglia del 17 dicembre scorso. Si lamenta una doppia violazione, quella del principio di uguaglianza e la competenza statale in materia di ordinamento civile.

La legge pugliese, infatti, sotto il nome di “locazioni turistiche”, parifica gli alloggi affittati, in tutto o in parte, per finalità esclusivamente turistiche alle strutture ricettive non alberghiere.

Non solo, per avere un quadro dell’offerta turistica regionale, ha istituito un Registro regionale delle strutture ricettive non alberghiere con l’attribuzione di un “Codice identificativo di struttura” (CIS). Sembra un dettaglio ma non lo è: per agevolare i controlli dei Comuni, quel codice dovrà obbligatoriamente essere citato in tutti gli annunci pubblicitari, da quelli cartacei alle piattaforme di prenotazione e pubblicità sul web. Per gli inadempienti sono previste sanzioni pecuniarie da 250 a 1.500 euro per ogni attività pubblicizzata, promossa o commercializzata senza indicazione.

È lo strumento che la Puglia ha immaginato, insomma, nella controffensiva alle case pollaio, agli affitti in nero, al sommerso che tiene in parte sotto scacco, ancora, l’economia delle vacanze. Per il governo, però, qualcosa non va. Si ritiene che la Regione abbia violato la competenza esclusiva statale. Perché? Perché spetta solo al legislatore nazionale regolare i rapporti di diritto privato, come quello tra proprietari degli alloggi e vacanzieri. Il codice identificativo che si vuole introdurre per ogni struttura, nello specifico, riguarda solo gli alloggi pugliesi e non trova riscontro ad esempio nel Codice del Turismo del 2011. La tesi del governo è chiara: “Il rapporto di locazione, che è un rapporto tra privati, viene indebitamente assimilato, attraverso l’obbligo di indicazione del codice CIS, ad una vera e propria attività economica di tipo turistico ricettivo (struttura ricettiva non alberghiera) con tutte le conseguenze che da ciò derivano”.
Ma anche la previsione per cui i controlli spettano ai Comuni e non direttamente alle forze dell’ordine lederebbe le norme in materia di organizzazione dello Stato.

Sarà la Consulta, ora, a dover dire se l’impianto normativo regionale è da rifare.

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