Cronaca

Torna in aula la vittima della tortura nel casolare

PORTO CESAREO- Nuova udienza nel processo nato da un violento pestaggio avvenuto a Porto Cesareo e nel quale per la prima volta gli imputati devono difendersi dall’accusa di tortura. Venerdì scorso in aula, davanti al giudice Sernia, sono stati ascoltati molti testimoni, tra cui i carabinieri di porto cesareo e campi salentina che hanno confermato le indagini e che hanno eseguito i sopralluoghi nel casolare e la stessa vittima, il 33enne di Porto Cesareo che lo scorso novembre era stato prelevato e portato nell’abitazione di campagna, costretto a spogliarsi, bastonato e a subire una serie di umiliazioni fisiche e psicologiche.

Le tre persone poi arrestate dopo qualche ora gli avevano anche urinato addosso. Il suo racconto è stato duro ma preciso: i suoi presunti aguzzini gli avevano anche infilato la testa in un secchio (che comunque non è stato sequestrato) poi costretto a togliersi il giubbotto e a pulire la stanza dal sangue. In aula il 33enne ha ricostruito tutto quanto avvenuto quel giorno, confermando la ricostruzione dei fatti davanti ai due imputati, presenti in aula, che hanno scelto il processo ordinario: Lorenzo Cagnazzo e Maikol Pagliara, di Arnesano e Porto Cesareo, difesi dagli avvocati Feola e Valentini. Il terzo complice, Kevin Soffiatti, di 19 anni, è stato condannato a 4 anni e 8 mesi in abbreviato. L’accusa per tutti è di sequestro di persona, lesioni aggravate e tortura. La vittima con le parti civili sono difese dagli avvocati avvocati Riccardo Giannuzzi e Francesco Nutricati. Prossima udienza il 7 dicembre.

L’avvocato Ivan Feola, legale dei due imputati, tiene a precisare che l’espressione riportata “Ho paura per me, quando usciranno dal carcere potrebbero uccidermi” non è stata pronunciata dalla persona offesa in sede dibattimentale. Anzi, a precisa domanda del PM, la persona offesa rispondeva che “Alla data di venerdi 21 settembre 2018, non aveva subito alcun tipo di minaccia e ritorsione e che lo stato di ansia era dovuto a quanto accaduto un anno fa”.  “Ciò dimostra- sottolinea il legale- l’assoluta non autenticità della frase riferita dalla persona che anzi in sede di controesame è stata molto generica e vaga nelle risposte, anche in ragione delle lacune investigative”.

 

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