LECCE- Era la penna degli ultimi e anche lo sguardo sul Mediterraneo, tra gli intellettuali che più hanno incarnato l’idea della Puglia come arca di pace, grazie alla sua scrittura. Alessandro Leogrande, giornalista, filosofo, scrittore tarantino, è morto ieri, nella sua casa a Roma, all’età di 40 anni, probabilmente stroncato da un infarto. A darne notizia il padre Stefano, che ha ricordato il suo impegno «in difesa degli ultimi e dei ferocemente sfruttati nei più diversi contesti: nell’ambito del caporalato, degli immigrati, dei desaparecidos in Argentina, ed ovunque ci sia stato un sopruso», ha scritto in un messaggio pubblicato dal sito La ringhiera, rilanciato sui social.
Alessandro era tornato nella capitale dopo essere stato nei giorni scorsi a Campi Salentina, ospite della Città del Libro. Taranto in cima al suo impegno, raccontando prima l’ascesa al potere del fenomeno Giancarlo Cito e poi la convivenza difficile con l’Ilva. Una mente interessante, una scrittura profonda, un’analisi lucida: tante le inchieste sulla mafia, sul caporalato in Puglia, sull’inquinamento, sull’immigrazione. Tra gli altri, Il Naufragio è il libro dedicato alla tragedia della Kater i Rades, l’imbarcazione albanese naufragata nel Canale d’Otranto, volume con il quale ha vinto i Premi Ryszard Kapuciski e il premio Volponi. Poi, Uomini e caporali, dedicato al primo processo contro la schiavitù dei lavoratori nei campi pugliesi.
E’ stato vicedirettore dello Straniero, la rivista diretta da Goffredo Fofi, scriveva per il Corriere del Mezzogiorno e collaborava con Rai Radio 3. Negli ultimi mesi, in Argentina ha approfondito una ricostruzione storica sulle dittature militari negli ultimi cinquant’anni.