Cronaca

Omicidio Angelica Pirtoli, la difesa: “ecco perchè Toma non ha ucciso la bambina”

PARABITA- Un omicidio voluto dal clan ed eseguito con modalità mafiose. È questo, secondo l’accusa, il contesto nel quale è maturato il duplice assassinio di Paola Rizzello e della figlia di 2 anni Angelica Pirtoli, avvenuto nel 1991. Il mandante: lo stesso boss di Parabita Luigi Giannelli, che ha decretato la condanna a morte dal carcere attraverso Donato Mercuri e Anna De Matteis.

In Corte d’Assise, il Pm Elsa Valeria Mignone ha ricostruito le modalità dell’omicidio chiedendo per l’imputato Biagio Toma l’ergastolo. Perché, secondo la Procura, sarebbe stato lui ad uccidere barbaramente la piccola. Una tesi che nasce dalle parole del pentito Luigi De Matteis che invece si è autoaccusato solo dell’omicidio della mamma. L’accusa punta, quindi, sull’attendibilità del pentito che la difesa di Toma ha invece, in quattro ore di arringa davanti al presidente della Corte Roberto Tanisi e della giuria, provato a smontare.

De Matteis non è attendibile, secondo il difensore dell’imputato, l’avvocato Walter Zappatore, e non ha partecipato al duplice omicidio perché quel giorno non era presente nel casolare. Gli elementi raccolti dal 2001, anno in cui i tre mandanti sono stati condannati dalla stessa corte, raccontano un’altra realtà. Non c’è alcuna documentazione dei colloqui in carcere che inchioderebbero Toma e di cui De Matteis parla, così come è alquanto strano che il pentimento di questo sia stato determinato da un rigurgito di coscienza, come sostiene il PM. Un ravvedimento interiore del quale, secondo l’avvocato, bisognerebbe quantomeno dubitare perché avviene

Biagio TOMA

nel momento esatto dell’arresto, secondo un congegno ad orologeria perfetto nella forma, ma non nella sostanza. Gli avrebbe consentito di conseguire i vantaggi della collaborazione e il suo trasferimento e della famiglia in una località segreta, salvandolo da una mafia che già lo voleva morto. Così, per scrollarsi di dosso la parte più sporca di questa vicenda ha accusato Toma dell’assassinio della piccola. E poi come si può credere ad un uomo che nel 2001 accusò di nuovo sia il Toma sia sé stesso della compartecipazione nell’omicidio di Agostino Mancino, venendo, però, sbugiardato dalla Corte di Assise di Appello di Lecce che ne sentenziò l’inaffidabilità?

Sono tante le incongruenze messe in risalto per scardinare l’impianto accusatorio in un processo ormai alle batture finali e che il 4 luglio prossimo, con la sentenza, dovrebbe chiudere il cerchio, dopo 26 anni, sullo sconvolgente episodio di lupara bianca avvenuto nel Sud Salento.

Incronguenza di date e una serie di contraddizioni nel racconto di De Matteis che hanno portato l’avvocato Zappatore a chiederne l’assoluzione: “Perché quel giorno Biagio Toma in quel casolare non ci è mai arrivato e al duplice omicidio è del tutto estraneo”.

 

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