Attualità

Alternanza scuola-lavoro, il lato oscuro: “noi studenti sfruttati e delusi”

LECCE – Anna, leccese,16 anni, nome di fantasia, il suo affiancamento scuola-lavoro lo racconta così: lei, al terzo anno, di sogni nel cassetto ne ha tanti, sono loro ad averla spinta a scegliere l’indirizzo biologico dell’Istituto Tecnico “Grazia Deledda” di Lecce. Dalle analisi di laboratorio al confezionamento di mozzarelle, però, il passo è stato breve. È il lato oscuro di una metodologia didattica innovativa chiamata “alternanza scuola-lavoro” che si rivolge agli studenti degli istituti superiori e consente di “alternare” momenti di formazione in aula e in azienda.

Una novità fortemente voluta per avvicinare i giovani all’universo occupazionale, orientarli già durante gli anni scolastici. A quale prezzo però lo raccontano loro, i protagonisti di quello che definiscono un vero e proprio flop. Sì, perchè ad avanzare richiesta di affiancamento devono essere le stesse aziende: alla scuola non resta che adattarsi. Un paradossso, e spesso il risultato è questo. Marco (sempre nome di fantasia) ha 18 anni e frequenta l’Istituto Nautico di Gallipoli. La sua alternanza scuola-lavoro l’ha svolta in un cantiere navale “senza però avere in dotazione alcuna misura di sicurezza” racconta. Luca (anche questo nome di fantasia) ha 16 anni e studia al Liceo classico “G.Palmieri” di Lecce ma si è ritrovato in una biblioteca ecclesiastica a catalogare e scannerizzare libri. E poi c’è Sandro, 16 anni, che dall’Istituto tecnico per geometri “G.Galilei” è stato “catapultato in una biblioteca comunale -racconta- a fare fotocopie e portare caffè agli altri“.

Eppure qualcosa non quadra: dal regolamento si evince infatti a chiare lettere che “la natura delle attività che lo studente è chiamato a svolgere all’interno della struttura che lo ospita devono essere coerenti con gli obiettivi del progetto formativo condiviso tra quest’ultima e l’istituzione scolastica e con i risultati di apprendimento previsti dal profilo educativo dell’indirizzo di studi“. A vigilare però non deve esserci necessariamente un tutor scolastico sul posto, ma un tutor aziendale scelto dalla stessa struttura sì e sarà proprio lui a render conto delle prestazioni lavorative dell’allievo.
Inoltre per il Miur i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro sono parte integrante del curriculum dello studente e sono oggetto di verifica e valutazione da parte del consiglio di classe, con una ricaduta sulla valutazione finale. La domanda a questo punto però sorge spontanea: in cosa consisterà la prova finale di chi ha portato caffè, fatto fotocopie o confezionato prodotti caseari?

Il rischio è che una “buona scuola” alla Dottor jekill e Mr Hyde, piuttosto che incentivare l’occupazione e l’orientamento dei giovani cervelli finisca per sfiduciarli. Del resto da affiancamento a sfruttamento fine a se stesso per loro è stato un attimo: da quel giorno il mondo del lavoro lo dipingono così: intriso di nonnismo e indifferenza verso chi, in attesa di tagliare un traguardo, si è ritrovato ad asciugare il sudore altrui. Con la complicità di tutti e la responsabilità di nessuno.

E.Fio

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