Cronaca

Scu&politica, il prefetto: “Parabitani passivi, anche altri amministratori vicini al clan”

PARABITA- Il silenzio in cui i cittadini di Parabita hanno scelto di restare dinanzi alla collusione tra mafia e politica è il dato più preoccupante che emerge dalla relazione che ha portato allo scioglimento del Consiglio comunale. Il prefetto di Lecce Claudio Palomba aveva chiesto al Viminale di adottare la misura più drastica già un anno fa, il 31 marzo 2016.
E lo aveva fatto prima ancora della sentenza della Cassazione che, nel confermare gli arresti domiciliari per il vicesindaco Giuseppe Provenzano l’8 aprile scorso, era stata molto chiara: “la composizione del sodalizio era soggettivamente più vasta di quella oggetto dell’indagine e anche altri amministratori erano in qualche modo vicini al gruppo in questione”. Cioè: il punto di contatto tra clan e amministrazione guidata da Alfredo Cacciapaglia non era solo Provenzano, che si autodefiniva “il santo in paradiso” dei Giannelli. Ed è quanto anche il ministro dell’Interno Marco Minniti ritiene “emblematico”: per la Suprema Corte, c’era il rischio che il vicesindaco “potesse continuare a favorire esponenti del sodalizio criminale, grazie anche ai contatti con amministratori ancora in carica e indicati come vicini all’associazione mafiosa”.

Chi siano non è noto: i nomi sono coperti da omissis. Si fa però riferimento ad un atto attributo direttamente a Cacciapaglia: con propria ordinanza, ha requisito alcuni beni, destinandoli a soggetti non rientranti nella graduatoria ufficiale degli aventi titolo all’assegnazione degli alloggi popolari. Beneficiario, in particolare, è stato un pregiudicato dalle “comprovate frequentazioni” con esponenti della locale consorteria. Nessun “effettivo contrasto alle occupazioni abusive” delle case popolari, invece, è stato portato avanti dall’amministrazione: su 12 alloggi abitati da non aventi diritto, alcuni dei quali affiliati al clan, il sindaco ha emesso una sola ordinanza di sgombero, nei confronti della compagna di un collaboratore di giustizia che aveva iniziato a parlare contro i Giannelli, Massimo Donadei.

Quelle che viene definito “sistema Parabita” ha diverse declinazioni nella relazione prefettizia: vanno dalla distribuzione dei voucher, buoni lavoro, e dei contributi economici in maniera continua a esponenti della criminalità organizzata e loro familiari, all’assunzione e poi stabilizzazione diretta di Marco Giannelli e altri nella società che gestisce la raccolta rifiuti, con aggravio dei costi per le casse del Comune. Poi, c’è la gestione del capoclan, tramite prestanome, di bar e sale scommesse e l’interessamento dell’amministrazione a garantire quella di un altro esercizio commerciale. Così la giunta Cacciapaglia è diventata, secondo lo Stato, “una sorta di distributore a disposizione dell’organizzazione criminale”.

E i parabitani in tutto questo? È duro il giudizio su di loro: “appare assai rilevante – scrive il prefetto – la sostanziale passività della cittadinanza che quasi inesorabilmente sembra accettare o rassegnarsi alle disinvolte gestioni della cosa pubblica posta in essere dall’amministrazione”. Con quel post su Facebook pubblicato da Marco Giannelli all’indomani delle elezioni, “Andate a zappare tutti, la vittoria è nostra”, era arrivato chiaro il messaggio dell’alleanza politico-mafiosa. E i cittadini non si sono ribellati.

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