LECCE-Il pentito Scu parabitano Massimo Donadei non si sente al sicuro nella località che dovrebbe essere protetta in cui è stato inviato. E questo ha dirette conseguenze nel processo sull’omicidio della piccola Angelica Pirtoli e di sua madre Paola Rizzello, anche loro di Parabita. Ad essere imputato di concorso in duplice omicidio pluriaggravato è Biagio Toma, 47 anni.
In mattinata, Donadei ha rifiutato di testimoniare nell’udienza in Corte d’Assise. Manca la riservatezza necessaria al suo ruolo di collaboratore di giustizia e per questo teme di parlare, teme per la propria vita e quella della propria famiglia.
Non ha ricevuto pressioni particolari, ma in videoconferenza è stato chiaro: ha chiesto di essere trasferito, come sollecitato tre volte anche al Ministero. Lo ha fatto perché ha riferito di essere stato avvicinato almeno in tre occasioni da leccesi pure inviati lì. L’ultima volta appena tre settimane fa da un suo stesso compaesano, “molto amico – ha specificato – di tutte le persone che stanno in carcere che io ho accusato”. Il riferimento è a presunti affiliati al clan Giannelli, i cui legami e affari sono stati ricostruiti nell’ambito dell’operazione “Coltura” anche grazie alle testimonianze di Donadei, i cui parenti hanno già ricevuto in passato minacce.
Anche per questo ora il collaboratore di giustizia 37enne tira il freno a mano, chiedendo di non rispondere alle domande “perché – ha detto – non mi sento al riparo e non sono stato collocato in un posto sicuro”.
La sua richiesta è stata accolta dalla Corte presidieduta dal giudice Roberto Tanisi. Anche il pm Elsa Valeria Mignone ha avallato la necessità di un trasferimento in un luogo protetto prima di essere sentito in aula, il prossimo 19 gennaio. Le sue dichiarazioni, infatti, hanno rappresentato la svolta in questo processo di mafia. Anche perchè è sulla scorta della sua testimonianza che dovranno essere ascoltati anche gli altri testi presenti in aula, l’ex colonnello del Ros Paolo Vincenzoni e i marescialli Alfonso Mollica e Osvaldo De Carlo.
La confessione di Donadei serve a rafforzare quella di Luigi De Matteis, già condannato a 16 anni e 8 mesi dopo la confessione piena resa in aula nel 1999. De Matteis, però, disse che non era solo ad eseguire la condanna a morte contro la piccola Angelica e sua mamma impartita dal boss Luigi Giannelli. Con lui c’era, quella sera del 20 marzo 1991, Biagio Toma, suo cognato, colui che, dopo l’omicidio di Paola, sarebbe sceso dalla macchina, avrebbe afferrato la bimba per i piedi e l’avrebbe sbattuta contro il muro quattro-cinque volte, fracassandole il cranio.
