TAURISANO- Non ci sono sconti di pena per Gianpiero Mele. Per il padre che sgozzò il figlioletto di due anni e otto mesi allo scopo di punire la ex compagna resta la condanna a trent’anni di carcere. Uscirà di prigione quando sfiorerà la soglia dei sessant’anni, lui che ora ne ha solo 31 ed è diventato omicida a 26. Lo ha stabilito la Corte d’Assise d’Appello di Taranto, nella sentenza emessa nel pomeriggio. Era stata chiamata a pronunciarsi dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione due anni fa, quando aveva chiesto che la pena venisse nuovamente determinata. Da valutare non di nuovo quanto accaduto, non di nuovo la responsabilità accertata, ma la sussistenza delle attenuanti generiche e delle aggravanti dei futili motivi e della crudeltà. E dunque, tutto resta invariato.
Non era pazzo Gianpiero Mele, di Taurisano, ma pienamente lucido e capace di intendere e volere – come hanno stabilito le perizie psichiatriche e come suggellato dalla Cassazione – quando nel primo pomeriggio del 30 giugno di sei anni fa portò il piccolo Stefano nella casa al mare di Torre San Giovanni, a Ugento. Durante il tragitto, si fermò in una ferramenta per acquistare una corda. Provò ad impiccare il suo bambino ad una porta. Poi, lo finì tagliandogli la gola con un taglierino.
“Non hai voluto salvarla questa famiglia. Hai voluto questo”, aveva scritto Mele nella lettera indirizzata alla ex compagna. “Stefano Bolognese”, fu la risposta di Angelica, la madre, che sui manifesti funebri volle il suo cognome accanto al nome del figlio, un modo simbolico per negare la paternità a chi non l’aveva meritata.
