Cronaca

Ex deposito Aspica, dopo il maxi incendio il pericolo è ancora lì

LECCE- A sei mesi dalla nube tossica che ha soffocato la città, il rischio che il copione possa ripetersi è altissimo: questo è quello che troviamo nell’ex deposito Aspica, in via Gran Bretagna, nella zona industriale Lecce-Surbo.
Cumuli di rifiuti, plastica e cartone, soprattutto, sono ancora lì, nel piazzale antistante l’edificio. Una mega discarica a cielo aperto, una di quelle talmente pericolose da dover mettere tutti sull’attenti. E invece, il rimpallo delle responsabilità che c’è stato finora mantiene perenne questo stato di abbandono, dentro e fuori. Nella cassetta della posta, ci sono ancora le bollette dell’Aqp indirizzate al vecchio proprietario, la società Axa, che un decennio fa ha venduto quell’immobile ad Aspica.

Al di là delle recinzione, resta il materiale altamente infiammabile: lo aveva ripetuto più volte anche il Noe di Lecce, scrivendo alle amministrazioni competenti, tra cui Comune e Provincia di Lecce. È un sito già finito sotto sequestro nel gennaio 2010. Dopo i sigilli, il 5 ottobre di quell’anno, un’ordinanza ad hoc di Palazzo Carafa ne chiedeva la bonifica. Ma con la gestione dell’ufficiale giudiziario nulla è stato fatto. Dopo l’incendio del 19 novembre scorso, il Comune di Lecce ha ricevuto un sollecito da parte del proprietario confinante. E adesso il Settore Ambiente sta predisponendo l’ordinanza che, ai sensi del Testo unico sull’ambiente, concede 60 giorni di tempo per ripulire il tutto. “Fra una decina di giorni sarà pronta”, dice il dirigente Fernando Bonocuore.

Il punto qual è? Che comunque quell’ordinanza sarà indirizzata alla proprietà. E se è ancora la curatela fallimentare, appare scontato che il cerino possa tornare indietro e a farsi carico delle spese di bonifica dovrà essere il Comune, che poi potrà rivalersi sui titolari di beni che sono però nel frattempo finiti all’asta. Il fatto che l’assegnazione della vendita all’incanto sia stata eseguita nelle ore precedenti all’incendio è un dettaglio che non è sfuggito agli inquirenti.  Ora, però, resta il nodo ambientale. Con il rischio, ancora una volta, che a fronte di profitti privati i costi di smaltimento quasi certamente saranno pubblici.

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