Cronaca

Occupazione dei binari per rivendicare gli stipendi. La Cassazione dopo 10 anni riconosce gli imputati “non punibili”

SURBO –  Sarà sicuramente una Pasqua più serena per otto leccesi che, dopo 10 anni, hanno visto conclusa una lunga battaglia giudiziaria partita nel 2008 con l’occupazione dei binari dello scalo ferroviario di Surbo e terminata solo qualche giorno fa con una sentenza della Corte di Cassazione a loro favore. In tutti questi anni a sostenere davanti ai giudici che il reato per il quale si procedeva fosse talmente tenue da comportare la non imputabilità dei coinvolti, l’avvocato leccese Amilcare Tana che ora, finalmente, può dirsi soddisfatto, anche se con un po’ di amaro in bocca “Per quello che appare- dice- come un vero e proprio accanimento nei confronti dei più deboli”.

La mancata applicazione dell’articolo 131 bis del codice penale, ovvero la “tenuità del fatto”, era stata l’oggetto del ricorso in Cassazione che la Corte ha riconosciuto dopo dopo le sentenze di condanna in primo grado, nel 2015, in appello nel 2017, dichiarando inoltre l’ estinzione del reato per prescrizione.

I fatti incriminati si verificarono il 22 dicembre del 2008 quando gli otto imputati, alle 15,30, occuparono i binari della scalo ferroviario di Surbo causando un’interruzione di circa due ore della circolazione dei treni con il successivo trasbordo dei passeggeri su dei pullman.

Gli imputati erano dipendenti della ditta “Servizi Riuniti”, appaltatrice, per conto della società Ceias, delle pulizie dei treni e del materiale ferroviario nello scalo. Rivendicavano stipendi arretrati e certezze sul loro futuro.

Dopo essere stati identificati dalla Polfer, furono denunciati e poi processati. Il giudice ritenne di doverli condannare a due mesi di reclusione per interruzione di pubblico servizio. Era il 30 ottobre del 2015. La sentenza della Corte d’Appello leccese arrivò due anni dopo.

Pur ritenendo fondate le ragioni sociali della protesta, come esercizio di diritti fondamentali e costituzionalmente riconosciuti, confermò la condanna ritenendo che la soppressione di 7 treni in arrivo anche dal Nord, avesse causato un grave disagio.

Sia nel processo di primo grado che in appello, gli stessi pm inquirenti, chiesero l’archiviazione, rigettata da entrambi i giudici.

La Corte di Cassazione, pur riconoscendo l’indubbio disagio, ha ritenuto la protesta di persone in quel momento disperate, fondata ed espressamente riconosciuta da valori costituzionalmente rilevanti e protetti.

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