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Zona P.I.P a metà, il Comune di Vernole dovrà restituire 1,2 milioni

VERNOLE – Il Comune di Vernole dovrà restituire alla Regione Puglia quasi 1,2 milioni di euro, cioè tutte le somme del contributo finanziario concesso per il completamento delle opere di urbanizzazione del comparto due della zona Pip. Una batosta quella sancita con la sentenza del Tar pubblicata nelle scorse ore, decisione contro la quale si prospetta il ricorso in appello. I lavori, infatti, sono stati eseguiti solo in parte, ma questo non evita la revoca dell’intero contributo. Una vicenda kafkiana, a dir poco, quella che emerge dalla lettura della sentenza: il Comune in Tribunale ha cercato di smentire un suo stesso atto, la relazione di collaudo alla base della revoca, senza però mai nemmeno sospenderlo o revocarlo in sede amministrativa.

I fatti: il 17 maggio 2018 il dirigente del Dipartimento Sviluppo Economico della Regione ha disposto la revoca totale dei fondi, pari a 1,4 milioni di euro, con il recupero anche della somma già erogata, per un ammontare di 1.159.937 euro. Quella determina stabiliva anche che se il Comune non avesse provveduto al versamento della somma entro 60 giorni, allora si sarebbe proceduto al recupero coattivo. Da qui il ricorso contro la Regione, difesa dall’avvocato Francesco Zizzari.

Quei fondi il Comune di Vernole se li era aggiudicati dieci anni fa, fondi Cipe rientranti in un accordo quadro tra Regione e Ministero dello Sviluppo Economico. All’erogazione dei primi tre acconti, per un totale, appunto, di 1.159.937,63 euro, non è corrisposta una rendicontazione equivalente, che invece si è fermata a 831mila euro. 329Mila euro, scesi a 250mila euro circa nella relazione di collaudo, quindi, non sarebbero stati documentati. Dal 2010, il Comune è stato più volte sollecitato a farlo e già nel 2013 c’è stato un preavviso di revoca del finanziamento. Nel frattempo, la vicenda è finita anche all’attenzione della Procura con un esposto della minoranza.

Nel 2016, il sopralluogo effettuato dai tecnici della Regione ha portato a constatare che, “oltre a carenze documentali sullo stato di attuazione del progetto, sull’intera area P.I.P. oggetto dei finanziamenti non era presente alcun insediamento produttivo; la stessa area non era opportunamente indicata da segnaletica sulle strade di avvicinamento e, quindi, risultava non facilmente raggiungibile; non era presente il tabellone di cantiere con la pubblicità del finanziamento, né la targa definitiva, come previsto dai Regolamenti Comunitari. Era, altresì, rilevato che non tutte le strade interne all’area P.I.P. comprese nel progetto del comparto II erano completate; quasi tutti i pozzetti realizzati per la rete di fogna nera, bianca, idrica e di pubblica illuminazione risultavano privi di chiusini di copertura; non erano presenti i cavi elettrici di alimentazione dei vari pali costituenti la linea elettrica di pubblica illuminazione”.

Successivamente, il nuovo rup ha affidato l’incarico per il collaudo ad un tecnico, che ha concluso la sua relazione nel gennaio 2018 sostenendo che le opere non fossero collaudabili per varie motivazioni, “tra cui la mancata realizzazione di opere stradali, elettriche e altri lavori e, non ultima per importanza, la mancata acquisizione al patrimonio comunale delle aree da espropriare che rendeva di fatto impossibile la concreta attuazione del Piano per gli Insediamenti Produttivi”.

È anche sulla base di quelle conclusioni che la Regione ha deciso per la revoca. Il Comune di Vernole si è opposto, ritenendo che fosse nulla anche la relazione di collaudo del tecnico che però lo stesso ente aveva nominato. A suo dire, quella relazione era illegittima perché il collaudo si era svolto oltre i termini previsti e senza contraddittorio. Un modo per provare così a smentire il suo stesso tecnico incaricato. Per il Tar, invece, l’atto di collaudo resta pienamente riferibile al Comune, anche perché, se non lo avesse condiviso, l’ente avrebbe potuto non adottarlo o non accettare la relazione del tecnico e chiedergli ulteriori accertamenti. Invece, di fatto ha presentato ricorso contro un proprio atto “senza, però, in via amministrativa, intaccare minimamente lo stesso, nemmeno sospendendolo.

 

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