Atti persecutori e maltrattamenti nei confronti del marito, coinvolgendo anche la figlia. Il Tribunale di Lecce ha inflitto una pena di quattro anni di reclusione nei confronti di un’insegnante leccese, ritenuta colpevole di atti persecutori, maltrattamenti e violenza psicologica nei confronti della figlia minore, con l’obiettivo di colpire indirettamente l’ex marito, un noto commercialista leccese. A quest’ultimo e alla figlia, costituitisi parte civile con l’avvocato Riccardo Giannuzzi, il giudice ha riconosciuto una provvisionale di 15mila euro.
I fatti risalgono agli anni successivi alla separazione della coppia. La donna, non accettando la fine del rapporto e colpita da una misura cautelare di divieto di avvicinamento all’ex coniuge sin dal 2012, avrebbe progressivamente rivolto la propria ossessione verso la figlia, cercando di impedirle i contatti col padre. Secondo l’accusa, la donna avrebbe posto in essere condotte gravemente lesive della serenità della minore, ostacolandone il rapporto affettivo con il padre con pressioni, minacce psicologiche e atteggiamenti manipolatori.
Come emerso anche nell’incidente probatorio del 2020, durante il quale la minore è stata ascoltata in forma protetta, la madre avrebbe usato il ruolo genitoriale come strumento di vendetta, denigrando costantemente il padre, inducendo la figlia a temerlo e a rifiutarlo, fino ad assumere un atteggiamento definito dai giudici come “alienazione parentale”.
Nelle carte dell’inchiesta emerge un quadro familiare stravolto: la madre avrebbe fatto pressioni sulla figlia per ottenere informazioni sul padre, utilizzando il cellulare della minore per controllarne i contatti, e avrebbe persino simulato malesseri per suscitare sensi di colpa. Tra i comportamenti contestati anche pedinamenti, insulti, minacce e continue interferenze nella vita della bambina, impedendole, di fatto, una relazione affettiva stabile con il padre. Il Tribunale ha definito il comportamento della donna come “perseverante e dannoso per l’equilibrio psico-emotivo della minore”, sottolineando l’assenza di pentimento e il continuo stato di ostilità verso l’ex coniuge anche dopo le misure cautelari.
Con sentenza, il giudice ha riconosciuto la continuazione tra i reati oggetto di questo processo e quelli già accertati con la sentenza del 2020, divenuta definitiva nel 2023. Accogliendo la richiesta del Pubblico Ministero, che aveva invocato quattro anni di pena, la Corte ha disposto anche la revoca della responsabilità genitoriale e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, oltre alla condanna al risarcimento danni e al pagamento delle spese processuali.
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