TARANTO – La Serie C è diventata, ormai da tempo, l’emblema della precarietà nel calcio italiano. Un campionato in cui ogni partita sembra avere un valore provvisorio, ogni classifica è scritta a matita, pronta a essere cancellata o riscritta da penalizzazioni, ricorsi e sentenze. In questa stagione, l’ennesima conferma con l’esclusione a campionato in corso del Taranto e la Turris.
Le esclusioni, però, non sono che la punta dell’iceberg. Le classifiche dei tre gironi di Serie C sono punteggiate di asterischi, e solo nel 2025, il Tribunale Federale ha inflitto sei punti di penalizzazione alla Lucchese, quattro al Messina e quattro alla Triestina. E sempre nel Girone C, dopo l’esclusione di Taranto e Turris, è stato modificato anche il sistema di retrocessioni: ora soltanto l’ultima e la penultima si giocheranno la permanenza nei playout, ma solo se il distacco non supera gli otto punti.
La Serie C è la lega professionistica più grande d’Europa: 60 squadre divise in tre gironi. Troppo, per un sistema che non produce ricchezza ma debiti. Dal 2000 a oggi, sono quasi 200 i fallimenti di club professionistici in Italia. Solo in Serie C, dal 2011, si contano circa 100 fallimenti o rinunce. Ogni stagione porta il suo carico di esclusioni, ripescaggi e salvataggi in extremis.
Il rischio sempre più concreto è che la Serie C diventi solo un parcheggio per le seconde squadre dei grandi club, o per realtà costrette a vivere alla giornata. La giustizia sportiva interviene più della stessa competizione sul campo, e la credibilità del torneo, ormai in crisi strutturale, è saltata da tempo.
A rimetterci poi, sono sempre i tifosi: inizialmente abbagliati dalle promesse di inizio stagione, per finire poi costretti a seguire il proprio club più online per vicende extra-campo che sul terreno di gioco vero e proprio. Taranto è solo un’altra delle vittime mietute da questo sistema, ma certamente non sarà l’ultima, se le cose non cambieranno.