La discarica Burgesi di Ugento è una ferita ancora aperta, che sanguina, fa male, e forse mai si cicatrizzerà. La sua storia, iniziata alla fine degli anni ’80, è stata caratterizzata da polemiche, inchieste giudiziarie e preoccupazioni per la salute pubblica.
Si chiama Burgesi perchè sorge al termine della contrada che porta il suo nome, a ridosso della strada provinciale 275 che collega Ugento a Salve. È considerata una fra le più importanti del territorio. Se vogliamo dare una data alla sua nascita, possiamo dire 7 febbraio 1987, quando presso il notaio Zuffelli venivano stipulati sei atti di trasferimento di proprietà di cave di tufi dismesse. Alla fine dell’89 la Ditta Gieco Srl, presentava un piano e riceveva tutte le autorizzazioni per la realizzazione di una discarica controllata di prima categoria, con una volumetria di 954mila metri cubi.
Nel 1991 entra in esercizio, ricevendo rifiuti da 24 comuni dell’Aro 3. Venivano smaltiti rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali assimilati agli urbani (non pericolosi). E questo fino al 2008, quando i comuni appartenenti al bacino dell’Ato Lecce 2 concludono il proprio conferimento nelle discariche di Fragagnano e Grottaglie, nel tarantino, per le quali il presidente della Regione, Nichi Vendola, aveva predisposto un anno di conferimento, e alla scadenza dell’ordinanza, gli autocompattatori vennero fatti confluire a Burgesi. Da lì, le prime proteste delle popolazioni di Gemini, Ugento, Presicce e Acquarica del Capo. Nascono diversi comitati, fra cui «Burgesi pulita» e «Io Conto» di cui fa parte anche un sacerdote che poi, per altri motivi, o forse perchè si era esposto troppo a difesa della popolazione, chissà, verrà trasferito da Ugento a malo modo. E a proposito di chi ad Ugento ci ha rimesso la pelle, è bene citare anche Peppino Basile, morto nel giugno del 2008, e che proprio su Burgesi ha sposato una battaglia per la legalità. Più volte e in più occasioni, prima della sua morte, Basile parlava di una bomba ecologica. Era in corso una prima inchiesta nata dall’autodenuncia presentata nel dicembre del 2006 alla guardia di finanza di Gallipoli da un imprenditore del posto che raccontò di come gli fosse stato chiesto di occultare in Contrada Burgesi rifiuti tossici e speciali. L’uomo accusò la ditta che aveva ricevuto l’appalto per quasi tre milioni di euro finanziati dalla Regione Puglia, per realizzare la bonifica dell’area, e che aveva subappaltato il lavoro a tre ditte locali, di aver interrato i rifiuti piuttosto che rimuoverli. L’inchiesta fu poi archiviata, ma intanto la famiglia dell’imprenditore subì una serie di atti intimidatori, come il lancio di un masso di 17 chili sul parabrezza di un’Alfa 156. Il fatto fu collegato al delitto Basile, in quanto il destinatario era un tesserato dell’Idv, partito del consigliere ucciso e parente dell’imprenditore che ha svelato un mistero, lo stesso mistero su cui da tempo Basile stava indagando. Ma in quel periodo la tensione ad Ugento era davvero alta. Una bomba carta venne fatta esplodere nelle vicinanze del Palazzo Comunale e due macchine date alle fiamme, una era proprio del primo cittadino di Ugento dell’epoca, Eugenio Ozza. In quel periodo, il prete scomodo, dal pulpito sollecitava i cittadini a parlare, a non essere omertosi. Dopo gli atti intimidatori e l’omicidio Basile, Ugento aveva paura di parlare e di finire dentro alla “rete” delle persone che, inserendosi nella battaglia per la «legalità», avrebbero ricevuto atti intimidatori. Per il don lo stesso omicidio del consigliere dell’Idv era legato alla mafia.
Poi, dopo anni di silenzio, nel 2016 anche l’imprenditore Gianluigi Rosafio, genero del boss Pippi Calamita, dichiarò di aver smaltito illegalmente 600 fusti contenenti policlorobifenili (PCB) nella discarica tra gli anni ’80 e ’90. Ma anche in questa circostanza, tutto di polverizzò, poiché le indagini geofisiche allontanarono lo spettro della presenza di policlorobifenili nella discarica dismessa di Burgesi. Venne utilizzata, per la prima volta in una discarica, la tecnica «Electromagnetic induction».
Le passerelle politiche sulla discarica Burgesi non sono mai mancate, così come le promesse di chiusura definitiva. Ma il Partito delle Discariche, come è stato definito dal consigliere regionale Paolo Pagliaro, che da anni si batte per un Piano dei rifiuti regionale completamente diverso, continua a disattendere gli impegni presi, anzi, trattando il Salento come pattumiera, nel vero senso del termine. Una situazione che si protrae da 20 anni. E quando pensi che sia tutto finito, ecco che con una delibera di giunta, la Regione Puglia ordina di sopraelevare la discarica di soccorso di Ugento per il conferimento di 190.000 metri cubi di rifiuti provenienti dalla discarica di Brindisi, e l’apertura della discarica di Corigliano. Infischiandosene, peraltro, della voce dei salentini e di report importanti, come l’Atlante dei Tumori 2024 della ASL di Lecce, che ha evidenziato un aumento significativo dell’incidenza di tumori nei comuni limitrofi alla discarica, in particolare a Ugento e nella frazione di Gemini.
Ugento ha già dato, si è più volte detto in ogni sede. Ma anche il Salento ha già dato se si considerano anche le dichiarazioni del pentito della Scu, Silvano Galati, che riferì di rifiuti tossici interrati nelle campagne di Supersano, e di questo si occupò la trasmissione televisiva di Telerama L’indiano tanto da ricevere una querela per diffamazione poi archiviata.