LECCE E PROVINCIA – C’è chi, segnata da una storia di tossicodipendenza non acora archiviata, ha scelto di non tornare a casa con il bambino appena partorito. C’è anche chi, alle prese con una cultura familiare rigorosa, aveva la certezza di essere ripudiata e abbandonata dalla famiglia, ritrovandosi sola e senza nessuna garanzia sul futuro da poter dare al proprio figlio.
Sono alcune delle storie che in provincia di Lecce si sono tradotte in parti in anonimato. Nel 2022 uno è stato registrato al “Fazzi”, nel 2024 sono stati due, uno a Scorrano e l’altro a Lecce.
Il “parto in anonimato” consente alla donna incinta di partorire in ospedale, garantendo tutta l’assistenza necessaria a partoriente e nascituro, nella consapevolezza che quest’ultimo resterà inizialmente in ospedale e il suo destino passerà poi nelle mani di un giudice.
I protocolli per scongiurare gli abbandoni ci sono, quello leccese ad esempio risale al 2022. Se la sua esistenza sia stata adeguatamente veicolata è difficile a dirsi, certo è che negli ultimi tre anni tre donne hanno potuto ricorrere a quelle linee guida, garantendo ai rispettivi bimbi partoriti l’avvio dell’iter di adozione.
Negli ultimi giorni questo tema è tornato prepotentemente in auge.
La tragedia del neonato trovato morto nella culla termica della chiesa San Giovanni Battista di Bari il 2 gennaio scorso ha scosso e continua a scuotere gli animi. Da una parte la Procura e le Forze dell’Ordine che indagano per capire cosa non abbia funzionato, con parroco e tecnico della culla termica (risultata non funzionante) iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo. Dall’altra parte lo sgomento della comunità e non solo di quella barese, che ha vissuto da vicino il drammatico epilogo di questa storia che apre una serie di interrogativi. Primo su tutti quello sulle alternative che la Legge offre a chi, portando a termine una gravidanza, rinuncia alla maternità. L’ordinamento italiano consente alle donne di partorire mantenendo segreta la propria identità. Ordinamento che anche a Lecce è attuato con apposito protocollo e linee guida da due anni e mezzo.
Dall’ospedale parte una segnalazione alla Procura dei Minori che si attiva per l’adozione. Sono previste tutele aggiuntive per casi particolari, come ad esempio il ricorso ad un mediatore culturale e linguistico per le donne straniere, l’affiancamento di un assistente sociale per le donne in evidente stato di fragilità personale, così come un iter particolare è previsto per i genitori al di sotto dei 16 anni.
Tutele sono previste anche per i padri biologici dei bambini laddove volessero procedere loro al riconoscimento del neonato.
Insomma l’alternativa c’è, perchè i neonati in cerca di casa non debbano essere affidati al fato o alla fortuna neanche per un secondo.