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Fuochi d’artificio per il compleanno del capo ristretto in carcere

BRINDISI – “Abbiamo preso la batteria di fuochi per domani. È di cento colpi e la accendiamo la sera, perché è il suo compleanno”. La trascrizione della conversazione è stata riportata nelle motivazioni con cui il gup del tribunale di Lecce, Alcide Maritati, ha riconosciuto il ruolo di capo e promotore di un gruppo di stampo mafioso, attivo a Brindisi sino a giugno 2022, contestato dalla Dda salentina, a Ivano Cannalire, condannato a 17 anni e quattro mesi di reclusione. Condanna che la difesa ha appellato.
L’intercettazione risale al 5 maggio 2018, il giorno prima del 35esimo compleanno di Cannalire che, in quel periodo, era detenuto nel carcere di Taranto. Ed è all’esterno della casa circondariale del capoluogo ionico, in direzione della cella in cui era ristretto il brindisino, che venne organizzato lo spettacolo pirotecnico, scoperto dalla polizia penitenziaria.
L’intervento degli agenti, mise in fuga gli organizzatori dell’iniziativa, uno dei quali – sempre intercettato al telefono – raccontò a un familiare che il “detenuto era stato contento” mentre loro, essendo stati costretti a fuggire, erano finiti in un canale e si erano fatti male.
Per il giudice di fronte al quale si è svolto il processo con rito abbreviato, scaturito dall’inchiesta chiamata Nexsus, che due anni fa, sfociò nell’esecuzione di dieci ordinanze da parte dei carabinieri, quei dialoghi sono emblematici della posizione predominante dell’imputato all’interno del sodalizio perché un trattamento del genere non poteva che essere “riservato al vertice del clan”, si legge nelle motivazioni.
“Nell’ambito malavitoso – ha scritto il gup – lo spettacolo pirotecnico ha un significato non solo di rispetto, affetto e considerazione, ma anche una funzione di rappresentanza verso l’esterno, dell’esistenza di un potere e di una posizione supremazia da esibire e imporre”.
Ruolo di capo che, stando all’esito del processo di primo grado, Cannalire, avrebbe continuato a ricoprire ed esercitare nonostante il periodo di detenzione in cella. Anche perché, stando a quanto emerso dall’inchiesta, aveva la disponibilità di un telefonino cellulare per comunicare con le persone di sua fiducia.

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