LECCE – Sono 18 anni che la famiglia di Simone Renda invoca giustizia per la morte di suo figlio e adesso quel momento è arrivato: in Appello le condanne inflitte in primo grado sono state tutte confermate.
Alle 12.30 in punto nell’aula bunker del carcere di Lecce è stata data lettuta del dispositivo di sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello sul caso del bancario leccese morto il 3 marzo del 2007 nel carcere messicano di Playa del Carmen, lì dove era detenuto da tre giorni dopo un arresto per disturbo della quiete pubblica. Rinchiuso in una cella di isolamento morì per insufficienza epatica e renale: nonostante l’evidente sofferenza, certificata anche da un medico, non fu mai accompagnato in ospedale.
In primo grado, nel 2016, la Corte d’Assise di Lecce (presidente Roberto Tanisi, a latere Maria Francesca Mariano e i giudici popolari) ha inflitto 138 anni di carcere ai sei imputati, ritenuti responsabili di una morte che si poteva evitare. Nello specifico: direttore e vicedirettore del Carcere; il giudice qualificatore e le due guardie carcerarie di turno e poi il responsabile dell’ufficio ricezione del carcere.
Secondo le motivazioni della sentenza le sei persone condannate “con le loro varie condotte produssero una sofferenza psico-fisica di portata indicibile, qualificabile come tortura secondo i parametri internazionali”.
Nonostante la sentenza di condanna per Simone, però, non è stata fatta giustizia. Le autorità messicane non ne hanno voluto sapere di collaborare con l’autorità giudiziaria italiana, e tutte le richieste di notifica sono state disattese con le scuse più banali. Fra le altre, quella di non conoscere il domicilio degli imputati.
Nonostante questo la famiglia, oggi assistita dall’ avvocato Paola Balducci del foro di Roma, non si è mai arresa.
E così, nonostante dal Messico non sia mai giunta alcuna risposta alle sollecitazioni del ministero della Giustizia, il processo d’Appello è stato avviato, e nella prima udienza del giugno scorso è stata invocata la conferma delle condanne per omicidio e tortura. Conferma arrivata appunto nelle scorse ore e accolta tra le lacrime dalla mamma di Simone.