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Pastore ucciso “per errore”: “non fu omicidio volontario”

PORTO CESAREO – Fu una tragica fatalità e non un omicidio volontario. Hanno sentenziato così i giudici della Corte di Assise di Appello di Taranto sulla morte di Qamil Hyraj, pastore all’epoca dei fatti 24enne, ucciso con un colpo di fucile in testa nell’azienda agricola presso la quale lavorava a Porto Cesareo. Era il 2014. Ad impugnare l’arma fu il suo datore di lavoro, Giuseppe Roi, imprenditore 42enne che, difeso dagli avvocati Francesca Conte e Roberto Eustachio Sisto, ha sempre sostenuto che si fosse trattato di una tragica fatalità: “quel colpo, esploso per gioco – ha sempre sostenuto – sarebbe dovuto andare a vuoto”. Secondo quanto ricostruito l’imprenditore stava giocando al tiro al bersaglio contro un frigorifero abbandonato, in uno dei terreni dell’azienda dove il 24enne Qamil in quel momento stava pascolando il gregge.

La corte di Assise di appello di Taranto, in linea con quanto già affermato dalla Corte di Cassazione che aveva annullato con rinvio la sentenza di condanna a 21 anni (emessa dalla Corte d’Assise di appello di Lecce), ha riqualificato il reato in “omicidio colposo”, intanto estinto per intervenuta prescrizione.

In primo grado Roi era stato condannato a 30 anni di reclusione. La famiglia si era costituita parte civile assistita dall’avvocato Ladislao Massari.

La sentenza dei giudici tarantini “è un riconoscimento – commentano i legali difensori di Roi – che sotto il profilo giuridico restituisce a questa storia, pur nella sua drammaticità, la sua naturale collocazione. Non possiamo ovviamente nascondere la grande soddisfazione professionale” concludono.

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