Granitica la piattaforma indiziaria rispetto alla tentata estorsione, con metodo mafioso, ai danni dell’imprenditore del Brindisino, al quale era stato chiesto il pagamento di 200mila euro, poi ridotto a 50mila euro, dopo l’aggiudicazione dell’appalto della Provincia, per il rifacimento di una strada. Non ci sono dubbi per la gip del tribunale di Lecce, Tea Verderosa, che ha firmato la seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere, chiesta dalla pm Carmen Ruggiero della Dda, per Massimo Magli, 48 anni di San Pietro Vernotico, e Andrea Cava, 37, orginario di Manduria ma residente a Erchie, imprenditore, dopo il primo provvedimento di arresto eseguito l’11 ottobre scorso nei confronti di quattro brindisini: Lucio Annis, 54 anni, di San Pietro Vernotico, Francesco Sisto, 51 e Tobia Parisi, 43, entrambi di Mesagne, ma domiciliati a Brindisi, tutti già condannati in via definitiva per associazione mafiosa, e Salvatore Esposito, 44 anni, di San Pancrazio Salentino che, secondo l’accusa, avrebbe fatto da tramite.
Fra i gravi indizi che, stando all’ordinanza, riscontrano la denuncia presentata in questura dall’imprenditore agli inizi di ottobre, ci sono alcune intercettazioni. E fra queste, quella che si riferisce al dialogo tra Magli e un uomo, estraneo all’inchiesta, ascoltato il giorno stesso in cui sono stati eseguiti i quattro arresti: “Non stava pagando, è dal 20 settembre che gli stiamo sopra”, dice Magli che al suo interlocutore confida di aver espresso preoccupazioni a Sisto per il comportamento dell’imprenditore e spiega le motivazioni. “Perché quando si doveva parlare, è venuto. Ora vuol dire che questo sta facendo qualcosa”.
Magli, a questo punto, racconta anche dei propositi di Sisto: “Ora gli faccio vedere che gli faccio saltare la macchina”.
Per la gip, anche nei confronti di Magli e Cava sussiste l’aggravante del metodo mafioso, anche se non è provata la loro appartenenza a un’associazione di stampo mafioso. Di rilievo – scrive la gip- è l’atteggiamento di sorpresa dopo aver scoperto che l’imprenditore aveva presentato denuncia. In questo modo, gli indagati avrebbero transito il fatto di confidare nell’atteggiamento omertoso conseguente all’intimidazione che il gruppo era in grado di esercitare.
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