Disco rosso del ministro per gli affari regionali, Raffaele Fitto, alla legge per mantenere pubblica la gestione del servizio idrico, approvata dal Consiglio regionale della Puglia lo scorso 15 marzo. Il ministro ravvisa “rilevanti profili di incostituzionalità” per il mancato rispetto dei vincoli di legge in materia di affidamenti in-house, e preannuncia la richiesta d’impugnazione alla Corte Costituzionale. “La Regione Puglia – sostiene Fitto – non può trasferire il controllo di Acquedotto Pugliese ai Comuni”.
Il governatore Michele Emiliano e l’assessore alle risorse idriche Raffaele Piemontese fanno sapere in una nota che “sulle questioni tecniche sono al lavoro gli uffici regionali per i chiarimenti utili all’interlocuzione più proficua con la Presidenza del Consiglio dei Ministri” e si dicono “aperti e disponibili a un confronto politico con il Governo”.
Ma si annuncia battaglia.
In Puglia la gestione dell’acqua è affidata ad Acquedotto Pugliese, società di proprietà al 100% della Regione, ma la concessione ad Aqp scadrà nel 2025. In vista di questo termine, per evitare la messa a bando del servizio idrico e la sua privatizzazione, è stata concepita e approvata la legge che trasferisce ai Comuni una parte delle azioni di Acquedotto pugliese, legittimandoli ad affidare la gestione del servizio idrico in house ad Aqp. Un meccanismo complesso che prevede la costituzione di una società “veicolo” entro novanta giorni dall’approvazione della legge (e dunque entro metà giugno), a totale partecipazione pubblica e controllata da tutti i soci. Per costituire il capitale della nuova società, la Regione verserà un importo massimo di 400mila euro, suddivisi tra i Comuni in base all’entità delle infrastrutture per la distribuzione dell’acqua.
Ma – secondo il parere del capo dell’ufficio legislativo del ministero degli affari regionali guidato da Raffaele Fitto – serve una legge statale e non regionale per modificare il decreto del 1999 che ha trasferito la proprietà di Acquedotto Pugliese alla Regione Puglia.