Niente da fare per il rito del caffè espresso italiano, candidato dal Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale a diventare Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Ad esser scelto dalla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, ieri, un altro presidio culturale importante per il Belpaese, ovvero l’Opera lirica, nonostante la candidatura della tazzina fosse così sentita da riuscire a riunire le comunità emblematiche di tutto lo Stivale.
“Una decisione che ci lascia amareggiati, ma anche sconcertati”, spiega l’imprenditore salentino Antonio Quarta, promotore della candidatura, all’interno del Consorzio, per il Sud Italia. “Nessuno mette infatti in dubbio l’importanza dell’Opera lirica, ma il caffè espresso, elemento altrettanto identitario dell’Italia in tutto il mondo, ha in più la caratteristica di essere elemento assolutamente trasversale e democratico che mette insieme gli italiani, senza distinzione di latitudine, cultura, censo. Non si possono paragonare in alcun modo i due dossier: il rito del caffè italiano, come ho già detto altre volte, avrebbe dovuto esser già riconosciuto ad honorem in quanto fenomeno sociale, abitudine rappresentativa dell’italianità unica al mondo. Lo stesso Ministero si è smentito”, prosegue Quarta, “perché ci avevano chiesto di presentarci uniti a sostegno della candidatura, e tutte le undici città delle comunità emblematiche, coese, così hanno fatto. Non è bastato, e penso che tutti gli italiani ne rimarranno delusi”, conclude l’imprenditore leccese. “Quando si parla di riconoscimento di un bene immateriale dell’umanità, si deve parlare di qualcosa di condiviso da quante più persone possibile. E l’opera lirica non è per tutti, mentre il rito dell’espresso italiano sì, tant’è che anche Lino Banfi, componente dell’Unesco e ambasciatore Unicef, ha sostenuto fortemente questa candidatura con la sua presenza al Ministero. Comunque non ci fermeremo qui: la candidatura sarà presentata l’anno prossimo”.