ANDRANO- Si ricomincia da dove tutto si è interrotto e ora con una spinta in più: il progetto di un grande impianto eolico offshore ad appena 9 chilometri dalla costa di Castro, Santa Cesarea e Porto Badisco rimette in moto il dibattito pubblico sulla necessità e sulle opportunità dell’istituzione dell’area marina protetta Otranto-Leuca. L’iter si è arenato sul finire del 2019, quando i sindaci, comunque tutti favorevoli, hanno chiesto ad Ispra di prospettare la zonizzazione della futura area marina protetta, cioè di individuare le varie zone a tutela crescente in cui suddividerla. Il pressing dei sindaci ora si fa più serrato, perché il Ministero della Transizione Ecologica possa dare seguito a quanto richiesto: al momento, non ha ancora risposto alle sollecitazioni del primo cittadino di Otranto Pierpaolo Cariddi. “L’istituzione di un’Area Marina Protetta sulla nostra costa – rimarca Salvatore Musarò, presidente dell’Unione dei Comuni Andrano Spongano Diso – è un obiettivo strategico per le nostre Comunità. La valorizzazione delle risorse che ci vengono dal mare deve essere fatta in maniera oculata, studiata dal punto di vista scientifico e sostenibile. Le istituzioni hanno il dovere di accelerare questo percorso e di avviare una progettazione partecipata che coinvolga i cittadini, le formazioni sociali e le imprese. L’Unione dei Comuni ha deciso di promuovere un convegno nell’ambito della rassegna culturale autunnale proprio per riavviare il dialogo su una tematica cruciale per lo sviluppo del nostro territorio”.
È stato questo il tema affrontato durante l’incontro “Il mare, la grande risorsa”, convocato presso il castello di Andrano lunedì pomeriggio, moderato dal giornalista Elio Paiano e organizzato dall’Unione dei Comuni Andrano Spongano Diso e dal Parco Otranto Leuca. Netta la posizione di contrarietà all’eolico in mare anche da parte di quest’ultimo ente: “Qualunque progetto seppur lontano dalla costa – hanno detto Nicola Panico e Francesco Minonne, rispettivamente presidente e membro del Comitato di gestione del Parco – non potrà che influenzare negativamente la natura stessa di una possibile Area Marina Protetta, la sua riconoscibilità e tutela, rappresentando un’interferenza con le specie e biocenosi esistenti. Le attività di cantiere, il traffico che ne deriverebbe, le infrastrutture che costituirebbero la connessione delle pale con la terraferma e le interferenze dei cavidotti sottomarini creerebbero evidenti fattori di disturbo e vere e proprie barriere alle rotte faunistiche marine, con particolare riferimento ad una specie indicatrice di fondamentale importanza quale la foca monaca mediterranea (Monachus monachus)”.
È vero, l’istituzione di un’Amp introdurrebbe nuovi vincoli, ma le comunità locali di questo tratto di costa, grazie anche al lavoro del parco terrestre, hanno capito che i vantaggi sarebbero maggiori. A darne dimostrazione è la posizione di favore del Comitato Porto Andrano, che riunisce 40 piccoli diportisti, ma anche la nascita di un’Oasi blu a Tricase, frutto dell’impegno dei pescatori locali, di Magna Grecia Mare, del Ciheam Bari, del Comune. L’esperienza dell’altra Area marina protetta leccese, quella di Porto Cesareo, convince a maggior ragione. “Lì un’AMP – ha spiegato Paolo D’Ambrosio, tecnologo della Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli e direttore Area – ha portato negli anni allo sviluppo di nuove attività economiche sostenibili (turismo subacqueo, escursionismo, turismo enogastronomico e culturale, turismo sportivo, pescaturismo) e sta svolgendo un ruolo importante nella valorizzazione della piccola pesca costiera, nello sviluppo dell’intera fascia costiera (mobilità sostenibile, creazione di opportunità in rete con i parchi terrestri, ricostruzione di habitat dunali), nella creazione di comunità green e blue (commercializzazione del prodotto ittico locale, presidio Slow Food della pesca, riciclo delle reti da pesca dismesse dai pescatori, etc)”. Per Paolo D’Ambrosio, un impianto eolico in mare si potrebbe accettare solo se davvero offshore, dunque lontano dalla costa oltre le 12 miglia, e se studi approfonditi dimostrano l’assenza di impatti, ad esempio, sulle rotte dei cetacei e sull’ avifauna.