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Omicidio al bancomat, c’è la svolta: fermato un 31enne

LEQUILE – La svolta nelle indagini arriva a poche ore da quei due colpi di pistola che hanno ucciso Giovanni Caramuscio, 69 anni di Monteroni, mentre compiva una delle azioni più banali e quotidiane: prelevare denaro contante da uno sportello bancomat, quello del Banco di Napoli alla periferia di Lequile.

Tenuto sotto torchio per tutta la mattinata, nel pomeriggio è stato sottoposto a fermo il presunto autore dell’omicidio: si tratta di Mecaj Paulin, 31 anni, di nazionalità albanese. Sarebbe uno dei due malviventi, colui che ha sparato alla vittima con una beretta, calibro 9 corto, con matricola abrasa, la stessa rinvenuta successivamente all’interno della sua abitazione dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Lecce. Il fermo è stato emesso dalla Procura, a firma del pm Alberto Santacatterina.

Il giovane dovrà rispondere, in concorso con altro soggetto in corso di identificazione, dell’omicidio di Caramuscio, aggravato dal fatto di aver agito al fine di rapinargli il denaro che aveva appena prelevato allo sportello. Contestati anche la detenzione e il porto abusivo di armi in luogo pubblico e la ricettazione della pistola.

Un omicidio a sangue freddo e, secondo le prime indagini, non premeditato. Una rapina finita nel sangue per la reazione dell’uomo che ha provato a divincolarsi quando è stato assalito alle spalle da due uomini armati, con il volto coperto da una mascherina e che hanno tentato di strappargli il portafoglio.

Il delitto alle 23 circa di venerdì sera. Giovanni Caramuscio era stato a cena da alcuni parenti. Si era fermato per prelevare del denaro dallo sportello, poi la tragedia sotto gli occhi della moglie con la quale stava effettuando l’operazione. I due malviventi, nascosti nell’oscurità in attesa di qualche vittima, lo hanno preso di sorpresa. Il 69enne si è voltato, ha gridato: “Cosa volete?”. Poi gli spari. Caramuscio è morto sul colpo, ucciso da due proiettili che lo hanno colpito all’altezza del torace, come accertato da un primo esame cadaverico da parte del medico legale Alberto Tortorella arrivato sul posto insieme al magistrato di turno Alberto Santacatterina e ai carabinieri del comando di Lecce e della stazione di S. Pietro in Lama.

Le indagini sono partite proprio da qui, con la scientifica al lavoro tutta la notte per trovare indizi e reperti e, soprattutto, per acquisire i filmati delle telecamere della banca e degli esercizi commerciali vicini. Preziose le indicazioni fornite da un testimone, che ha raccontato di aver notato un soggetto dirigersi, poco dopo i fatti, verso un pozzo ubicato nei pressi della banca con in mano una busta di plastica e di averlo rivisto poco dopo ritornare a mani vuote. È proprio in quel pozzo che gli investigatori hanno rinvenuto una serie di indumenti che sono risultati essere, dal confronto con le immagini dei sistemi di videosorveglianza acquisiti in loco, quelli utilizzati nel corso della rapina finita in tragedia. Il sospettato omicida abita a pochi passi da lì: il terreno nel quale è situato il pozzo è prospicente alla sua abitazione. Ed è proprio in quella casa che nella notte gli inquirenti si sono presentati, trovando l’indagato in evidente stato di agitazione, a torso nudo, bagnato e vestito con bermuda. È sempre in quella casa che è stata recuperata la maglietta che il 31enne indossava durante la rapina e dalla quale aveva già provveduto a tagliare il logo che aveva impresso sul petto, con l’intento di impedirne un eventuale successiva identificazione. Ed è sempre in quella stessa abitazione che i carabinieri hanno trovato, come detto, la pistola che aveva sparato e che Paulin aveva tentato di occultare all’interno di una pianta ornamentale. Per lui si sono aperte le porte del carcere. E il cerchio si stringe anche intorno al complice.

 

 

 

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