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Interdittiva, intimazione di Igeco al Comune di Lecce

Palazzo Carafa Lecce casa senzatetto Sesia

LECCE- L’interdizione antimafia che ha colpito il Gruppo Igeco non potrà che creare conseguenze di pubblico interesse visto la molteplice presenza dell’azienda in vari settori: dal Porto di Leuca passando alla Sgm e giungendo alla darsena di San Cataldo. Da Palazzo Carafa si valutano le azioni da fare relativamente all’attività della Sgm e sicuri su quanto avverrà a breve a proposito dell’appalto per il rifacimento della darsena nella Marina leccese.

Intanto il gruppo Igeco comunica alla Pubblica Amministrazione di Lecce di aver ricevuto nella giornata di ieri la formale decisione antimafia da parte della prefettura romana. Rende poi noto di aver già dato mandato ai propri legali di rappresentare e difendere in ogni sede i propri diritti ed i legittimi interessi. Ma la comunicazione va oltre, a proposito di partecipazioni azionarie in società miste, vedi Sgm, di non assumere da parte della parte pubblica alcuna iniziativa pregiudizievole i diritti e gli interessi della Igeco costruzioni. Rispetto all’appello per la darsena di San Cataldo, al di là di quanto intimato, il Comune è pronto già dalla prossima settimana per il calcolo sul computo metrico dei lavori già fatti avendo già erogato le somme per il costo del progetto ed il primo step dei lavori. Non appena terminate queste valutazioni si procederà alla sospensione del contratto con Igeco e all’avvio delle procedure per affidare l’appalto ad altra azienda, anche se non mancherà il rituale ricorso al Tar che potrebbe allungare i tempi per la ripresa del cantiere.

Intanto, la società si difende: buona parte dei 36 dipendenti sospettati di aver determinato il pericolo di infiltrazione mafiosa nella Igeco proveniva da appalti precedenti dei servizi di igiene urbana. È il cuore del comunicato che l’impresa mette nero su bianco. Diciannove dei 36 operai “provenivano dal gestore precedente. Inoltre – spiegano dal Cda – sette di loro sono oggi alle dipendenze delle imprese che sono subentrate nella gestione del servizio nei Comuni di Matino, Parabita e Novoli, senza con ciò aver determinato a loro carico alcun procedimento di verifica. Nei Comuni di Cellino San Marco, Lizzano, Ruffano e Sava tutti i dipendenti contestati nel provvedimento provengono da altro gestore”. Così anche per due a Monteroni, dove la società “si è rifiutata di assumere” un operaio “per appartenenza ad una famiglia di spicco della malavita organizzata locale”, caso “non citato”, precisano da Igeco, per cui “ogni riflessione sulle persone indicate nel provvedimento quale idonee ad esercitare un’infiltrazione mafiosa non può prescindere dalla considerazione che la maggior parte di loro proveniva da altra impresa ed è transitato ad altra impresa, dove ad oggi risultano essere dipendenti, senza con ciò determinare in capo ai loro datori di lavoro l’adozione di analoghi provvedimenti”.

Poi, la considerazione di carattere più generale: “se l’unico accesso ispettivo nel Salento negli ultimi di cinque anni è stato quello operato a carico dell’Igeco – è la frecciata del Gruppo – ciò non metterebbe al riparo la società civile dal concreto pericolo che il fenomeno di infiltrazione mafiosa nel settore dei rifiuti sia efficacemente scongiurato”.

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