Cronaca

Paola, morta di fatica. Scattano sei arresti per caporalato

ANDRIA –Il 13 luglio 2015 una donna di 49 anni, Paola Clemente, di San Giorgio Jonico, morì d’infarto mentre lavorava nelle campagne di Andria. Un anno dopo fu approvata la legge sul caporalato. Oggi i militari della Guardia di Finanza di Trani e gli agenti del Commissariato della Polizia di Stato di Andria hanno eseguito sei arresti di persone ritenute coinvolte a vario titolo nel fenomeno del “capolarato”.
L’operazione presenta un duplice profilo di novità, spiegano gli investigatori: un salto di qualità nelle modalità investigative, che ha permesso di superare il vincolo di omertà che normalmente copre il fenomeno; l’emergere di una nuova, più moderna e, per certi versi, sorprendente forma di caporalato. In carcere sono finiti il titolare dell’azienda di bus che trasportava i braccianti da impiegare nelle vigne di Andria; ai domiciliari la moglie Maria Lucia Marinaro che, falsamente presente nei campi quale bracciante agricola, percepiva indebiti contributi pubblici per la “disoccupazione agricola” e la “indennità di maternità e congedo; Pietro Bello, impiegato dell’agenzia di Noicattaro per cui lavorava la Clemente; un ragioniere, Giampietro Marinaro, e un collega, Oronzo Catacchio; arrestata anche la sorella della Marinaro, Giovanna, che avrebbe diretto i lavori in campagna.

Agli indagati è stato contestato il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravato e continuato – “caporalato” -, la truffa aggravata e la truffa ai danni dello Stato, reati per i quali rischiano fino ad un massimo di 8 anni di reclusione. Le indagini, avviate all’indomani del decesso di Paola, hanno permesso di accertare come un’apparente e lecita fornitura di braccianti agricoli a mezzo di agenzie di lavoro interinali mascherasse, in realtà, una vera e propria forma di moderno “caporalato”.

Non semplice è stata la ricostruzione operata dalle forze dell’ordine, che hanno dovuto superare il “muro di omertà frapposto dalla grandissima maggioranza delle braccianti agricole” che, con il timore di essere escluse dalla platea delle potenziali lavoratrici, hanno “manifestato reticenza” nel corso delle varie dichiarazioni rese dinanzi agli investigatori la cui caparbietà ha permesso di ricostruire il persistente radicamento, sul territorio pugliese, “del fenomeno del caporalato nella cui morsa era intrappolata anche Paola Clemente, facendo di lei una vittima di tale meccanismo”.

Il contesto di “omertà” è stato sicuramente agevolato e rafforzato dalla realtà socio-economica tarantina in cui vivevano le braccianti vittime dei caporali: numerose infatti appartenevano a famiglie in cui l’unico lavoratore era il marito ex-dipendente ILVA. Tale situazione di crisi economica, associata pertanto alla forte esigenza di reperire un lavoro, portava le stesse braccianti a “santificare” i loro carnefici, al punto di ringraziarli del lavoro ottenuto.

In particolare, lavorando in perfetta sinergia, ciascuno secondo la propria professionalità, finanzieri e poliziotti sono riusciti “a scoprire l’astuto modus operandi posto in essere dagli indagati a fronte di una realtà documentale fondata sulla sottoscrizione di contratti stipulati dall’Agenzia di lavoro interinale con i braccianti per la loro assunzione e con le aziende agricole utilizzatrici per la allocazione della forza lavoro reclutata con relativa emissione di buste paga che registravano la corresponsione di una retribuzione conforme a quanto previsto dalla contrattazione collettiva”.
È stata accertata l’abitudine, da parte dei braccianti, di indicare su agende o calendari le effettive giornate lavorative. Così, nel mese di settembre 2015 furono eseguite oltre 80 perquisizioni domiciliari nella provincia di Taranto.

Il materiale raccolto ha permesso di ricostruire il cosiddetto “sistema giornate”. è stato dimostrato come, in realtà, i braccianti fossero oggetto di un sistematico sotto-pagamento mediante un riconoscimento di minori giornate lavorate, nonché l’omessa imputazione di tutte le indennità (trasferte e/o straordinari) normativamente previste. Infatti, considerando che ogni singolo bracciante iniziava, dalla Provincia di Taranto, il proprio tragitto direzione campagne del Nord Barese alle ore 03:30 del mattino per farvi ritorno alle 15:30 circa, agli stessi sarebbe spettata una retribuzione giornaliera di circa € 86,00, a fronte degli effettivi € 30 riconosciuti. Infatti, attraverso lo scudo dell’Agenzia di Lavoro interinale, alle braccianti veniva assicurato un lavoro “regolare” con contributi versati in relazione, però, ad un numero inferiore di giornate lavorative rispetto a quelle effettivamente svolte. Contestualmente è stato eseguito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per l’importo di oltre € 55.000, quale valore complessivo dei contributi spettanti ai braccianti agricoli a seguito del sotto-pagamento e per gli indebiti contributi percepiti.

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