LECCE- Il 3 marzo del 2007 Simone Renda, giovane bancario leccese, morì in vacanza. Morì, questo è certo, perchè abbandonato senz’acqua in una cella messicana, lontano da casa. Ora, quasi 10 anni dopo, finalmente si metterà la parola fine al processo. Si è tornati in aula un’ultima volta, prima della data della sentenza, fissata il 15 dicembre. il processo finirà; non finirà, invece, il dolore della madre di Simone, che spera, però, sia fatta giustizia.
Il 29 settembre scorso, il pubblico ministero Angela Rotondano ha invocato dai 21 ai 24 anni di carcere a testa per omicidio volontario per gli 8 imputati. Sotto inchiesta, con un processo che in Messico ha già portato a delle condanne blande, sono finiti un magistrato, alcuni poliziotti e i responsabili del carcere nel quale Simone fu rinchiuso per presunta ubriachezza molesta. Fu lasciato solo, per due giorni, in condizioni disumane, in una cella di sicurezza a Playa del Carmen, senza assistenze e senza cure, nonostante si fosse sentito male. Senza acqua nè cibo, morì disidratato. Il medico aveva diagnosticato un infarto in corso e consigliato il ricovero, ma lui morì in cella.
Le pene più alte sono infatti state chieste per il giudice qualificatore Hermilla Valero Gonzales e per Pedro Bay Balam, vice direttore del carcere. Sono accusati di omicidio e violazione dell’articolo della convenzione Onu contro la tortura o comportamenti degradanti. Presto si conoscerà la sentenza.