Cronaca

Inchiesta Xylella, decine di ascolti: disseccamenti segnalati già nel 2011

LECCE- Chi sapeva e non ha fatto? Chi avrebbe potuto fare e ha tergiversato? E da quando è stato evidente che qualcosa di preoccupante stava accadendo? È intorno a queste domande che stanno ruotando decine di ascolti effettuati in questi giorni nell’ambito dell’inchiesta sulla moria degli ulivi nel Salento. Nel fascicolo in mano alle pm Elsa Valeria Mignone e Roberta Licci stanno confluendo le testimonianze raccolte tra un buon numero di persone informate sui fatti: agricoltori, soprattutto, ma anche presidenti di cooperative, sportelli sindacali a cui ci si rivolgeva per le pratiche burocratiche, agronomi e non solo. Si indaga per il reato di diffusione colposa di una malattia delle piante. E a verbale ci sono ora ricostruzioni precise, messe nero su bianco dagli agenti del Nucleo ispettivo del Corpo Forestale, delegati assieme al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza. 

In attesa delle relazioni dei consulenti della Procura, un dettaglio è emerso su tutti: nell’autunno 2011, il Codile, il Consorzio di difesa e valorizzazione delle produzioni intensive della provincia di Lecce, comunicò alla Facoltà di Agraria dell’Università di Bari che gli alberi avevano preso a seccare. Così tanti da iniziare a chiedersi il perché. Si pensò inizialmente all’azione di funghi; è due anni più tardi, nell’ottobre 2013, che venne diagnostica la presenza del batterio da quarantena Xylella fastidiosa. Ma in quel lasso di tempo, cosa si è inceppato?

L’informazione è arrivata all’Osservatorio fitosanitario regionale, che per sua mission “svolge ruoli di sorveglianza e controllo sulla presenza di avversità che possono costituire danno alle colture sia in pieno campo che in vivaio”? Insomma, chi sapeva?

Gli interrogativi sono tutti sul tavolo e viaggiano in parallelo con la ricerca delle cause della presenza del patogeno nel Gallipolino. I binari, in quest’ultimo caso, sono due: importazione di piante ornamentali dalla Costarica oppure una diffusione diversa che, come noto, secondo gli inquirenti potrebbe avere un collegamento con il workshop internazionale svoltosi nell’ottobre 2010 presso lo Iam di Bari, dove vennero introdotte a fini di studio, per la prima volta, delle piante contagiate, che l’istituto ha sempre sostenuto di aver poi distrutto.

La certezza, in ogni caso, è una sola: il batterio nel Salento non è endemico, ma c’è da poco tempo. Lo conferma la relazione dell’audit svolto dagli ispettori europei nel novembre scorso: “Il batterio – scrivono – è stato finalmente isolato a marzo 2014 da diverse specie di piante. Il sequenziamento del genoma è compiuto e indica che il ceppo locale, il ceppo CoDiRO della Xylella fastidiosa, è molto simile alla Xylella fastidiosa pathovar pauca. La stessa sequenza identificativa è stata ottenuta da diverse piante ospiti nella regione. Tale grado molto basso di variazione genetica indica un’introduzione recente della Xf nel territorio”.

Una circostanza che ha portato, non a caso, il magistrato Giancarlo Caselli a inserire la vicenda salentina al primo capitolo del rapporto agromafie dell’Eurispes.

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