
LECCE- Cosa c’entra il latte con l’amianto? Potrebbe essere il coniglio tirato fuori dal cilindro per avviare lo smaltimento delle tonnellate di eternit ancora sulla nostra testa senza farle finire in discarica e farle diventare, così, un problema futuro. Sbarca nel Salento il progetto coniato dall’Università di Bologna e che prevede l’utilizzo di siero esausto per trattare manufatti in cemento amianto. La titolare del brevetto per le regioni Puglia, Campania e Molise, la Project Resource Asbestos s.r.l., mira a far nascere il suo primo impianto a Melpignano, nella zona industriale.
La società, che ha sede a Cavallino, lo scorso 30 luglio ha presentato lo Studio Preliminare Ambientale al fine dell’ottenimento del parere di Assoggettabilità a VIA per la realizzazione dell’impianto di trasformazione. Gli elaborati tecnici sono stati depositati presso il Comune di Melpignano e presso gli Uffici del Servizio Ambiente e Tutela Venatoria della Provincia di Lecce. Fino al 28 settembre, sarà possibile depositare le osservazioni.
L’amministrazione comunale, guidata da Ivan Stomeo, ha già dato la disponibilità di massima di un lotto destinato ad impianti tecnologici in zona pip. “Ci pare un’idea innovativa – dice il sindaco – anche perché tutto il materiale dei vecchi pannelli di eternit verrà riciclato e il processo produttivo sembra all’avanguardia, visto che ha dalla sua anche l’esperienza dell’Università di Bologna”.
Il progetto iniziale era stato presentato già in primavera al Comune di Scorrano, ma poi è stato ritirato per mancanza di suoli. È il percorso agli antipodi rispetto a quello che, nello stesso periodo, ha suscitato aspre polemiche e relativo all’ampliamento della discarica Rei di Galatone, unica autorizzata in Puglia, dopo la notizia del possibile arrivo di una nave carica di 20 tonnellate di materiale proveniente dalla Sicilia. Già allora, come rovescio della medaglia, erano emersi i dati intollerabili del mancato smaltimento delle onduline nocive: in tre anni, nel Leccese non sono state smaltite più di 4mila tonnellate di manufatti, a fronte di una presenza, stimata nel Piano regionale amianto, di un qualcosa come 700mila tonnellate.
Adesso, ci prova il nuovo arrivato. In verità, il brevetto è stato depositato dalla Chemical Center, società nata nel 2009 dall’iniziativa di docenti, ricercatori e imprenditori. Il procedimento utilizzato non prevede emissioni, perché si basa sulla rimozione del cemento mediante l’acidità dei metaboliti del Lactobacillus casei presente nel siero e la completa liberazione delle fibre di asbesto, che vengono poi distrutte completamente con un processo idrotermale a 180° C sempre in siero di latte.
Entrambi i processi avvengono completamente in immersione nel siero di latte senza alcuna possibilità di immissione delle fibre di amianto in aria. Gli impianti pilota, come quello salentino, possono utilizzare anche altri rifiuti alimentari acidi diversi, come quelli derivanti dalla viticultura, dalla spremitura delle olive, dalla lavorazione dei pomodori.
Sempre che, ovviamente, vada in porto l’iter burocratico e al netto di eventuali criticità che la procedura di Via può portare a galla.
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