Cronaca

Crisi dell’editoria, la voce che nessuno ascolta

BARI-  Permetteteci, almeno a Natale, di parlare un po’ di noi. Noi della stampa locale. Permetteteci, almeno oggi, di parlare di chi lotta nel silenzio. Noi che ogni giorno scendiamo in strada a raccontare le crisi altrui. Noi che stiamo appostati per ore dietro le porte dove la politica tenta di scongiurare la crisi dell’azienda di turno. Noi che all’interno di quelle stanze non ci entriamo mai. Perché di noi nessuno, fino ad oggi, si è occupato.

Noi che quando ci troviamo davanti ad ogni singolo lavoratore che protesta lo guardiamo con gli occhi di sa capirlo. Noi che raccogliamo l’angoscia altrui senza mai raccontare la nostra. Noi che rischiamo di esser e come chi consola un malato sapendo di avere la stessa malattia.

Noi lavoratori come quelli dell’Ilva, della Bridgestone, della Om Carrelli, della Natuzzi costretti a vivere con il fiato sospeso per difendere il futuro. Noi però non lottiamo contro i nostri datori di lavoro. Lottiamo al loro fianco. Noi, però, a differenza degli altri, non siamo una vertenza aperta. Non siamo oggetto di lotte da parte né del Governo, né della Regione, né di Province e Comuni. Perché la stampa, si dice, è una casta. La stampa, si dice, è un potere forte. La stampa, e questo non si dice, è in crisi come e più di altri.

Perché questa non è la nostra crisi. Questa che ci sta spegnendo piano piano è una crisi che subiamo e che non possiamo in nessun modo contrastare. Non è dettata da scelte aziendali sbagliate, come in alcuni casi. Non è dettata da carenza di fantasia e ingegno. Noi ce la mettiamo tutta per risalire la corrente ma subiamo la forza della natura che spazzando via le aziende intorno a noi, spazza via anche la possibilità di farci resistere.

Permetteteci, almeno oggi, di raccontarvi qualche numero. La Bridgestone, per la quale la Regione ha messo in atto una campagna anticrisi senza precedenti, conta 900 lavoratori. La Om Carrelli che impegna Governo centrale e Regione in un braccio di ferro con l’azienda, conta 300 lavoratori. Sanitaservice ne conta 800. Per tutti loro la politica è scesa in campo. Ha fatto promesse e si è vantata di averle mantenute.

Noi, della stampa locale, siamo una piccola Ilva. O una grande Bridgestone. Solo nella emittenza locale si contano 248 lavoratori in cassaintegrazione in deroga nel 2013 per un totale di 170.191 ore. Il doppio di questi è stato già licenziato e ora è disoccupato. Il triplo si affida a lavoretti di fortuna per racimolare il tanto che basta per pagarsi la benzina. Non quantificabili, sono poi, quelli che ormai hanno cambiato del tutto mestiere. I giornali fermano le rotative.

Testate storiche come il Corriere del Giorno a Taranto, Bari sera, hanno gettato la spugna. La crisi non salva nessuno. Neppure testate celeberrime e di riferimento. Come in ogni settore non tutti sono perfetti. C’è chi tenta scorciatoie che lascino per strada la zavorra dei contratti. E allora, oggi, parliamo noi che possiamo scagliare la prima pietra perché senza peccato. E quella pietra la lanciamo alle porte dei palazzi dove i politici sono impegnati a far finta di non vedere che la stampa locale sta soffocando. Ogni giorno di più. Nell’inesorabile silenzio e indifferenza di tutti.

Eppure le telecamere, le pagine di giornale, ce le hanno di fronte tutti i giorni. E’ attraverso queste che arrivano ai cittadini. E attraverso queste hanno fatto promesse rincuoranti. Come quella di una legge a sostegno dell’editoria. Quella legge è ferma da mesi nel palazzo di Via Capruzzi. La crisi, e questo i politici lo sanno bene, non aspetta né la burocrazia né le promesse.

E allora sotto l’albero per una volta vorremmo trovare anche noi un dono. Non finanziamenti a fondo perduto come quelli concessi alla Fiera del Levante per pagare gli stipendi di 68 persone. Non come il milione e 700 mila euro per finanziare un festival del Cinema che dura una sola settimana. Fondi che se fossero stati destinati alle aziende della stampa locale, trasparenti e meritevoli, avrebbero salvato più di 1000 posti di lavoro a tempo indeterminato. A noi non piace vincere facile, ma la partita ce la vogliamo giocare. Basta che la sconfitta non la si decida a tavolino.

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