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Il primo suicidio dell’anno nel carcere che scoppia

LECCE  –  Il primo suicidio in una delle prigioni più affollate d’Italia, è arrivato nella serata dell’Epifania. Erano le 18 del 6 gennaio quando, la ronda degli agenti di Polizia Penitenziaria di Borgo San Nicola, non ha sentito provenire dalla cella dell’Infermeria nessuna risposta al solito richiamo.

Quando hanno aperto la cella, era già tardi: con un lenzuolo intorno al collo si era dato la morte – appeso al battente della porta del bagno – Mohamed Abdi, un detenuto somalo di 38 anni.

Abdi era dietro le sbarre del carcere di Lecce da metà maggio del 2012: la condanna emessa nei suoi confronti dalla Corte d’Appello di Bari era di un anno e mezzo di detenzione. Sarebbe uscito a maggio prossimo, ma intanto aveva da tempo manifestato – spiegano i medici del carcere – irrequietezza, intolleranza alla detenzione, anche atti di autolesionismo.

E dalle primissime ricostruzioni questo primo suicidio che funesta il 2013 dietro le sbarre sembra il frutto di due diverse condizioni. Da un lato una condizione personale, di solitudine individuale del detenuto somalo che non aveva nessuno qui in Italia e men che meno sul territorio tanto che della sua morte è stato informato il Consolato.

Dall’altro però una condizione oggettiva, di scarsità di personale di vigilanza, come segnala Domenico Mastrulli, il Vice Segretario del sindacato della Polizia Penitenziariaa fronte dei circa 1.400 detenuti a Borgo San Nicola, Mastrulli parla della carenza di uomini e donne nell’organico nei Reparti detentivi delle carceri e dei Nuclei Traduzioni e Piantonamenti.

Lecce – sottolinea il sindacato – da ultimo ha il primato delle ‘vittime’ le cui responsabilità o le colpe non devono e non possono ricercarsi sull’anello più debole del sistema penitenziario italiano, ma vanno ricercate nel fallimento del sistema. L’OSAPP si dichiara pronto “a dichiarare lo stato di agitazione per chiedere di rafforzare subito gli organici nelle carceri togliendo il personale da compiti e servizi che poco ci appartengono in questo drammatico momento”.

Per il sindacato, insomma, è inaccettabile che gli agenti di Polizia Penitenziaria scarseggino nei penitenziari perchè impegnati, ad esempio, nella vigilanza a procure, tribunali, edifici giudiziari, nei servizi di scorta a politici, magistrati e funzionari e nelle incombenze varie negli uffici amministrativi.

Un elemento su cui riflettere per evitare anche che il primo suicidio dell’anno nel carcere che scoppia non sia – come purtroppo la cronaca ci ha abituato – che il primo di una lunga serie.

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