Se non fosse il confronto ufficiale tra due rappresentanti del popolo sovrano nella più alta delle istituzioni democratiche, il dialogo tra Rosario Giorgio Costa e Antonio di Pietro meriterebbe di entrare in una rappresentazione della commedia dell’arte. Perché in quello scambio di battute svolto nella commissione antimafia c’è tutto il succo del duello sotterraneo tra due maschere arcitaliane: il brusco contadino un po’ Masaniello versus il paterno curato di campagna.
In Italia tutti conoscono Antonio Di Pietro e la sua oratoria popolana che sprezza il politichese e strizza l’occhio al linguaggio comune: da Mani Pulite in poi il vero emblema di quel complesso sentimento diffuso che sbrigativamente classifichiamo come «antipolitica» è lui, più ancora del tribuno delle piazze (e del web) Beppe Grillo.
Non tutti conoscono invece Rosario Giorgio Costa, il senatore di Matino che vanta il primato di parlamentare più longevo di Puglia: dal 1994 ad oggi ininterrottamente seduto sugli scranni di Palazzo Madama. Non è un caso, ma il prodotto di un metodo, quello della Prima Repubblica. Nel «Divo», il film di Paolo Sorrentino, c’è una battuta fulminante che lo spiega bene: “De Gasperi e Andreotti andavano in chiesa insieme. De Gasperi parlava con Dio, Andreotti col prete”. Così è Costa: nel mezzo della settimana a presidiare aula e commissioni parlamentari, gli altri giorni a pattugliare il territorio, stringere mani e «fare ricevimento», cioè ricevere postulanti e clientes che gli sottopongono casi pietosi, trasferimenti necessari, concorsi ambiti. Una pacca sulla spalla, una battuta in dialetto, una rassicurazione (se non una segnalazione) per tutti.
E che succede quando il contadino un po’ Masaniello e il curato di campagna si incontrano in parlamento? È successo poco meno di un anno fa, nella seduta della commissione bicamerale antimafia chiamata ad esaminare la «Relazione sui costi economici della criminalità organizzata nelle Regioni dell’Italia meridionale», stesa proprio da Costa in rappresentanza del quarto comitato della commissione. Una relazione che Antonio Di Pietro stronca così:
«Dissento da questa relazione. Credo sia corretto dirlo, con tutto il rispetto, la stima e l’amicizia che ho verso il senatore Costa. Dissento perché la relazione appare come un mero compitino, un richiamo al documento di altri. Se una Commissione parlamentare d’inchiesta, che ha i poteri dell’autorità giudiziaria, sintetizza in un suo documento ciò che hanno detto, ad esempio, la Banca d’Italia o la Confcommercio, si fa prima e meglio a leggere direttamente le relazioni di Banca d’Italia e Confcommercio. A prescindere poi dalla sintesi di relazioni altrui, questa del senatore Costa scopre l’acqua calda. Mi perdoni, senatore Costa, è un mio modo di parlare, ma non voglio assolutamente mettere in discussione la sua professionalità. Leggendo però la sintesi della sintesi, questa relazione, alla fine dice che la Commissione parlamentare bicamerale di inchiesta sul fenomeno della mafia ha scoperto che “il peso della criminalità organizzata grava su ampie parti del Sud e che essa infiltra le pubbliche amministrazioni”. Per la miseria!»
Dalla trascrizione stenografica (pubblicata sul sito della commissione) si può solo immaginare il tono da tribuno della plebe che tanto aiuta «Tonino» a bucare lo schermo e ne fa un ambito ospite nei talk-show politici. Chiunque, di fronte ad una bacchettata così violenta impartita di fronte al plenum della commissione parlamentare antimafia, si sarebbe riscaldato, avrebbe acceso polemiche, lanciato strali, sparato repliche. Costa no:
«Ringrazio i colleghi per l’amabilità che è stata riservata al nostro lavoro: dico nostro, perché evidentemente non è soltanto mio, ma di sei parlamentari che hanno lavorato per circa venti sessioni e che non si sono limitati soltanto a rendere “compitini” di sorta, poiché è nostra abitudine essere seri ed esaurienti ogni qualvolta ci applichiamo per esercitare un lavoro, in particolare per questo che tanto anima la nostre coscienze e i nostri cuori»
Un esordio in perfetto stile curiale che però ha solo la funzione di preparare all’epilogo nella commedia dell’arte che le due maschere stanno rappresentando nella commissione parlamentare: a Di Pietro, Costa risponde sul suo stesso terreno e al contadino un po’ masaniello, il curato di campagna dà lezioni di dialetto.
«Il IV Comitato, espressione di questa Commissione, merita la dignità, il rispetto ed anche il tono di voce adeguato, perché si possono dire – come diceva un mio maestro – le stesse cose, ma in modo diverso (si può dire in dialetto pugliese “ci boi?”, oppure “ci cumanni?”, perché ognuno di noi ha un suo stile e un modo di esprimersi). Non abbiamo copiato, bensì collaborato con la Banca d’Italia. Con queste precisazioni e ritenendo di dare tutta la comprensione, come lui l’ha riservata a me, all’onorevole Di Pietro (per quanto facendo il ministro non sia riuscito a modificare quell’ANAS che tanti dispiaceri ha procurato e procura, né a rimuovere altri fattori), dico al collega di stare attento: noi il compitino lo abbiamo fatto, ma lei è andato proprio fuori tema»
Potete pensare tutto quello che volete di Costa e di Di Pietro, del Pdl e dell’Idv, dell’attuale quadro politico e della funzione del parlamento. Ma una risposta come questa dimostra con certezza una sola cosa: che la Dc è come la bicicletta, una volta imparata non la si scorda più.