Cronaca

Donne boss ed estorsioni mai denunciate: scacco al clan di Brindisi, 37 arresti

BRINDISI-Un ruolo di primo piano affidato alle donne, gruppi criminali radicati a livello familiare e in grado di spadroneggiare sul mercato della droga e delle armi, un tessuto economico cittadino spaventato tanto da non denunciare mai nessuna estorsione subita. È il quadro della criminalità a Brindisi restituito dalle due distinte operazioni della Procura e della Dda, Synedrium e Fidelis, che nella notte hanno portato i carabinieri ad arrestare 37 persone in città e nelle provincia messapica. Otto di queste sono donne. Quasi tutti sono ventenni e trentenni. I reati contestati a vario titolo sono di associazione mafiosa, con l’aggravante della disponibilità di armi, associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsioni.

Così è stato sgominato il clan Coffa-Romano, “dopo indagini complesse in corso da diversi anni, cioè, la prima, dopo l’omicidio e il tentato omicidio di Cosimo Tedesco e del figlio Luca nel 2014 e, la seconda, dopo il tentato omicidio nel 2017 di Damiano Truppi”, ha rimarcato il colonnello Vittorio Carrara in conferenza stampa in mattinata.

La prima operazione, condotta dal Nucleo Investigativo di Brindisi, ha portato all’arresto di 20 persone (di cui 7 già detenute): per gli inquirenti, responsabili dell’omicidio di Tedesco e del tentato omicidio del figlio sono Francesco Coffa, 37 anni, e i suoi cognati Andrea Romano, di 34, e Alessandro Polito, di 39, ex ricercati sposati entrambi con sue sorelle, anche loro arrestate nella notte. Per finanziare la latitanza dei cognati ma anche per sostenere i nuclei familiari, a prendere in mano le redini del clan sarebbe stato un altro fratello, Alessandro Coffa, pure lui ora in carcere. Allora agli arresti domiciliari, gestiva gli affari tramite una rete di sodali, anche per far sapere al sottobosco criminale brindisino che a capo di quel gruppo era comunque rimasto un elemento di spicco.

Da nuovo capoclan, un tempo affiliato assieme a Romano, secondo gli investigatori, alla Scu di Mesagne, sarebbe stato lui a trafficare in stupefacenti, a riscuotere i proventi della droga e delle estorsioni, a dialogare con il fratello in carcere e i cognati latitanti tramite pizzini. La rete dello spaccio, concentrata nei quartieri Sant’Elia e Paradiso, si estendeva anche a San Vito dei Normanni, Oria e Carovigno.

Cruciale, come detto, il ruolo delle donne, tra cui le sorelle di Coffa, mogli dei latitanti, “per l’apporto che le stesse fornivano alla vita del sodalizio e allo svolgimento delle attività illecite dello stesso ma anche la piena consapevolezza e volontà di essere stabilmente a disposizione dell’organizzazione”. “La rilevanza del ruolo delle donne – scrivono gli investigatori – è ancor più evidente laddove si considerino i compiti che le stesse sono chiamate a svolgere in mancanza dei mariti perché detenuti o latitanti, come nel caso di Angela Coffa, moglie di Andrea Romano, e Annarita Coffa, moglie di Polito (prima latitante e poi detenuti in carcere per l’omicidio TEDESCO), che partecipano attivamente alle discussioni relative alla gestione delle attività illecite del gruppo, alle decisioni da adottare in merito alla ripartizione dei proventi per il proprio sostentamento e quello dei mariti latitanti, con specifico riferimento anche al traffico di stupefacenti”.

Con la seconda indagine, Fidelis, nata dopo l’omicidio di Damiano Truppi nel novembre 2017, si è completato il quadro a carico del clan e sulla sua capacità di gestire un presunto traffico di cocaina anche a livello internazionale.

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