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Il nuovo studio: ai Tamburi “rischio non accettabile” anche con produzione dimezzata

SALENTO- Anche con una produzione industriale dimezzata, una buona fetta della popolazione di Taranto è esposta ad un rischio “non accettabile” per la salute. È la conclusione choc a cui è giunto un nuovo importante studio scientifico, a firma di AReSS Puglia, Arpa Puglia, ASL Taranto, Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio (leggilo qui: studio aress ilva cerano). È stato pubblicato nelle scorse ore e dice qualcosa di molto serio, che rappresenta una grande novità destinata a segnare il dibattito in corso sul siderurgico e non solo. Si ricorda, infatti, che è in corso il procedimento di riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (avviato con il DPCM del 29 settembre 2017), nell’ambito del quale si sta elaborando la Valutazione del Danno Sanitario avviata dal Ministero dell’Ambiente, a seguito dell’istanza presentata dal sindaco Rinaldo Melucci il 21 maggio scorso.

Si stima, come detto, “un rischio non accettabile ai Tamburi anche per lo scenario 2015”, cioè quello nel quale la produzione di acciaio si è ridotta a 4,7 milioni di tonnellate, quasi la metà rispetto a quella di 8 milioni di tonnellate autorizzata dall’AIA. Tradotto: se con l’Aia, che in teoria dovrebbe rappresentare una tutela, i rischi restano, questi continuano a persistere persino se la produzione autorizzata viene dimezzata, come accaduto nel 2015.

Una conclusione a cui si è potuti giungere grazie al fatto che per la prima volta è stata realizzata non una valutazione di impatto ambientale o del danno sanitario (due strumenti diversi) ma una valutazione “integrata” di Impatto ambientale e sanitario, cosa ben diversa.

Il lavoro di ricerca guarda anche al resto del Salento. Si intitola “L’impatto ambientale e sanitario delle emissioni dell’impianto siderurgico di Taranto e della centrale termoelettrica di Brindisi” ed “è una pietra miliare anche da un punto di vista metodologico – ha spiegato Francesco Forastiere, direttore scientifico della rivista “Epidemiologia e Prevenzione” su cui l’articolo è stato pubblicato – perché coniuga la grande professionalità sulle emissioni e sui modelli di dispersione propria del Sistema di protezione ambientale regionale della Puglia con le capacità tecniche dell’Epidemiologia italiana, forte di esperienze internazionali (INTARESE) e nazionali (SESPIR, VIIAS)”.

L’obiettivo dello studio era quello di calcolare i presunti impatti ambientali e sanitari associati all’esposizione a PM2,5, cioè alle polveri sottili più pericolose e in grado di causare il cancro, particolato originato in questo caso dalle emissioni dell’ex ILVA e della Centrale ENEL di Cerano. È stata dunque stimata l’esposizione media della popolazione al PM2,5 utilizzando modelli di dispersione sulla base di scenari emissivi, sia quelli misurati davvero sia quelli modellati secondo le prescrizioni delle autorizzazioni integrate ambientali (AIA) rilasciate nel 2012 all’ex ILVA e nel 2017 alla Centrale ENEL. Sulla base dei decessi attribuibili all’esposizione alle emissioni industriali per cause naturali, malattie cardiovascolari e respiratorie, tumore del polmone, si è calcolato così l’impatto sui residenti nei 40 comuni intorno a Brindisi (rientranti nel dominio della valutazione del danno sanitario di Brindisi) e su quelli residenti nei comuni di Taranto, Statte e Massafra.

Viene fuori che dopo l’entrata in vigore delle due Aia, che hanno fatto contrarre le emissioni, si è ridotto anche il rischio, sia a Brindisi che a Taranto, anche se non sparisce, si badi bene: a Brindisi, si superano le soglie per il rischio inalatorio non cangerogeno ma non per quello che provoca tumori; a Taranto, anche dopo l’Aia del 2012 il rischio cancerogeno resta superiore alla soglia di accettabilità. Ma c’è un ma ulteriore e riguarda il quartiere Tamburi: come detto, anche con la metà della produzione consentita la popolazione continua a respirare veleni e ad ammalarsi di più.

“I risultati delle nostre valutazioni indicano la necessità di incrementare i livelli di tutela già da subito – dice Lucia Bisceglia, direttrice Area Epidemiologia e Care Intelligence di AReSS Puglia – e richiedono di accelerare l’attuazione degli interventi di ambientalizzazione previsti entro il 2023, soprattutto per i residenti al quartiere Tamburi”.
Perché la domanda di fondo che rilancia Aress è chiara: “Ma esiste poi la quota “trascurabile” di vite in pericolo?”.

Tiziana Colluto

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