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Angurie prodotte a 10 cent e vendute a 5: frutto lasciato sui campi, è crisi

LECCE- L’estate anomala, di certo non torrida e anzi molto fresca nel nord Italia ed Europa, abbatte la richiesta di angurie. E nei campi salentini, tra Nardò e Copertino, la situazione è diventata critica. Il prezzo di vendita di un chilo di angurie è di 5 centesimi, un quarto rispetto allo scorso anno. Il che significa per il produttore non riuscire nemmeno a coprire i costi.

Un’annata negativa come poche, insomma, per quanto fosse partita bene, con una impennata delle vendite di Esmeralda e Mini rosse, le principali varietà utilizzate per l’export, già a fine maggio e con prezzi record. Le quotazioni di mercato si sono via via ridotte, colpa anche della concorrrenza estera, con massiccia immission di prodotti sul mercato anche da parte di altri Paesi come Grecia e Spagna.

In provincia di Lecce, molto frutto resta sui campi, non raccolto perché non ne vale la pena. Per produrre un chilo di anguria, infatti, occorrono 10 centesimi, cioè il doppio della quotazione di mercato. Sono circa 1.500 gli ettari coltivati qui, per una produzione totale di 100mila tonnellate di angurie. Tra le altre cultivar ci sono soprattutto Ruby e Melania, quest’ultima quella con maggiore estensione colturale.

A far sentire la sua preoccupazione, anche per un altro motivo, è Coldiretti: “fenomeni di illegalità, di caporalato e di comportamenti illeciti in generale trovano facile terreno proprio laddove i costi di produzione non riescono ad essere coperti poi dalla vendita del prodotto”.

Non una giustificazione, in ogni caso. A Nardò ad essere impiegati nella raccolta delle angurie sono soprattutto tunisini e magrebini. Per i pomodori, invece, la manodopera prevalente è costituita da africani sub-sahariani. Tanti quelli che non hanno trovato impiego quest’anno, pur essendo arrivati in zona.

È crac della produzione anche per i meloni gialli, in tutte e tre le province salentine: in questo caso i prezzi di vendita non superano i 20 centesimi, anche a causa dell’import da Turchia ed Egitto. Una deflazione sui campi che cozza con l’inflazione, invece, nei mercati: a spingere il carrello della spesa sono proprio gli aumenti dei prodotti alimentari rispetto allo scorso anno, dalla verdura (+4,8%) alla frutta (+7,9%), un fenomeno in controtendenza con l’andamento dei prezzi in campagna.

In tutta la Puglia sono già andati perduti 8mila ettari di frutteto negi ultimi dieci anni.

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