Ambiente

Torre Veneri e arsenale di Taranto: la Commissione Uranio bacchetta i militari

LECCE-  La conclusione è un invito a “un ripensamento sulla rete dei poligoni”, con “la previa bonifica laddove essa si renda necessaria, e anche, laddove possibile, la dismissione di aree la cui utilizzazione non risulti più necessaria e la restituzione delle stesse ad usi civici”. E questo vale anche per il poligono leccese di Torre Veneri. Per il quale, in particolare, è stato chiesto all’Esercito di “impegnarsi per l’istituzione di un tavolo di concertazione permanente tra Regione Puglia e autorità militare volto al miglioramento dei criteri di gestione ambientale”.

Nella relazione consegnata nelle scorse settimane al Parlamento dall’ultima Commissione sull’Uranio impoverito emergono le criticità ancora non superate nell’area militare di Frigole, che si sovrappone a un sito Rete Natura 2000, tutelato a livello europeo per la preziosa biodiversità presente. Emergono nodi anche sull’arsenale della Marina militare di Taranto, dove il rischio amianto resta elevato, nonostante la “massiccia attività di smaltimento di tutti i materiali” che lo contengono sia iniziata nel 2010: la mappatura dei rischi fornita dall’amministrazione risulta “non affatto aggiornata”. 350 militari ex esposti all’amianto sono sottoposti a sorveglianza sanitaria obbligatoria, ma per tutti gli altri nulla: il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, Ignazio Barbuto, durante la missione del 20 maggio 2016, ha rilevato che “negli ultimi due anni il personale dell’arsenale non è stato più sottoposto a screening per amianto, nonostante le reiterate sollecitazioni”. A suo avviso, poi, c’è stata una “mancata informazione circa il rischio di espoiozni a polveri pericolose e una mancata dotazione di dispositivi di protezione individuale delle vie respiratorie”.

La situazione a Lecce presenta altrettante spine. Il sopralluogo da parte dei membri della Commissione nel poligono di Torre Veneri si è svolto il 22 marzo 2017 e ha comportato l’ascolto di alcuni testimoni presso la Scuola di Cavalleria.

Il generale di Brigata Fulvio Poli ha assicurato i parlamentari circa la redazione del Documento di valutazione dei rischi, che fa riferimento all’uso di mezzi del poligono e all’impiego dei sistemi d’arma. Tuttavia, “ha ammesso di non aver mai redatto” il Documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze “nei casi in cui reparti esterni al suo comando hanno svolto attività addestrative all’interno dell’area del poligono”. Al suo posto, un verbale di sopralluogo e coordinamento, ritenuto non sufficiente dai commissari, che tramite il presidente Scanu hanno “caldamente raccomandato” la compilazione del Documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze.

Lo stesso generale Poli ha rimarcato di non aver mai ricevuto visite ispettive dall’Ucoseva, il nucleo che si occupa della tutela dell’integrità psico-fisica del personale, né di aver mai registrato segnalazioni provenienti dal medico competente e dal Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione in relazione ai rischi per la salute dei suoi sottoposti. Negato, poi, l’utilizzo, almeno negli anni da quando lui è al comando, di munizionamento calibro 105 di fabbricazione israeliana, proiettili contenenti Uranio impoverito. Sull’eventuale impiego prima, però, la relazione tace. Un’altra volta: già in quella stilata dalla penultima commissione, presieduta dal salentino Giorgio Costa, venne riportato che non fu possibile approfondire questo profilo per “la mancata acquisizione delle schede tecniche e storiografiche dei colpi” di quei lotti del 1985 acquistati dalla ditta israeliana Imi, schede “richieste agli uffici del Ministero della Difesa ma pervenute solo in parte”. Gabriele Molendini, membro di Lecce Città pubblica, associazione che ha sollevato il caso negli ultimi anni, ascoltato come tesimone, “ha fatto presente ai commissari che i vertici militari non si sono ancora attivati per fornire nella loro completezza le schede tecniche richieste”.

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