LECCE- Il grande incendio nel capannone dismesso a Pavia, con la conseguente nube carica di diossine, risveglia l’incubo che è alle porte di Lecce, nella sua zona industriale, un’ecobomba che a distanza di anni ancora non viene disinnescata. Nell’ex deposito Aspica, abbandonato da anni dopo il fallimento della società, restano accatastate all’incirca 80 tonnellate di plastiche e vetro, materiali frutto della raccolta differenziata e altamente infiammabili: a fuoco una parte ci è già andata una volta, nel novembre 2015, provocando un’alta colonna di fumo nero che si è riversata sulla città. Una discarica a cielo aperto, pericolosissima. Questo è. Le immagini girate in mattinata provano che nulla è cambiato rispetto all’aprile 2016, quando Telerama sollevò il caso, a sei mesi di distanza dal rogo. Oggi c’è una certezza in più, però: a doversi far carico della bonifica dovrà essere il Comune di Lecce. È andata a vuoto, infatti, l’ennesima ordinanza con cui venne intimato alla società di provvedere alla messa in sicurezza e al risanamento ambientale: la prima risaliva al 5 ottobre 2010, dopo il sequestro effettuato dieci mesi prima dal Noe; la seconda è arrivata nella primavera 2016. Ma nulla. I rifiuti restano lì, in viale Gran Bretagna, e sono tali da poter far tremare le vene e i polsi ai vicini, alle migliaia di lavoratori della zona industriale e ai cittadini leccesi. Nel frattempo, dopo anni, qualcosa inizia a smuoversi. Tra Natale e Capodanno, lo studio chimico Cagnazzo di San Pietro Vernotico, incaricato dal Comune, ha consegnato le analisi svolte sul materiale depositato, dopo 16 campionamenti effettuati un mese e mezzo fa. È il primo passo per poter mettere a punto il piano di caratterizzazione in vista della futura bonifica. Dai controlli è emerso che una parte del materiale, plastica e vetro, è ancora riciclabile, per cui potrebbe essere venduto agli impianti che lo recuperano. Il resto, però, va smaltito in discarica perchè non più riutilizzabile. Chi paga? L’unica strada rimasta è quella prevista dalla legge: che sia il Comune a farsene carico, rivalendosi sulla proprietà. Il curatore fallimentare ha dato la sua disponibilità a pagare il dovuto, ma solo se e quando riuscirà a vendere gli immobili all’asta.
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