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“Il Salento non è la Catalogna”: l’intervento di Flavio Carlino

LECCE- “Sono Salentino nell’anima e non tollero più l’interesse di Bari e della sinistra per la nostra terra solo nei periodi elettorali, ecco perché auspico la nascita della 21ª regione italiana: la Regione Salento”. Così il commercialista Flavio Carlino. “Essa, diversamente dalla Catalogna che ha indetto un referendum -continua- per l’indipendenza dalla Spagna, altro non sarebbe che una ulteriore articolazione territoriale della Repubblica Italiana, un ente autonomo, secondo l’art. 114 della nostra Costituzione, al pari delle altre 20 regioni. Il referendum catalano è stato contrastato dal governo iberico in carica in virtù dell’art. 2 della Costituzione ispanica che professa l’indissolubilità dell’unità nazionale. Questo perché la Catalogna, che già gode di una particolare autonomia, vorrebbe l’indipendenza e le spinte indipendentiste ed autonomiste volte a dividere ed indebolire una realtà statale potrebbero non essere condivisibili; ciò è comprensibile se si considera che lo Stato Nazionale è l’unico vero ostacolo opponibile alla globalizzazione sregolata, l’unico posto in cui la sovranità dovrebbe appartenere al popolo e non a tiranniche strutture sovranazionali. Per questo difendere lo Stato Nazionale vuol dire difenderne l’identità, la libertà e la sovranità.  Ma la questione Salento è un’altra cosa. La terra in cui vivo da più di cinquant’anni, produce più del 40% di quanto produce la Puglia intera in termini di prodotto interno lordo e di occupazione. Gli altri numeri? Circa 1.800.000 abitanti (contro i circa 2.200.000 delle altre province pugliesi); 7.035 km² (a fronte dei 13.689 km² del resto della Puglia); 3 province: Lecce, Brindisi, Taranto (Bari, Foggia, Bat le altre); 146 comuni (contro i 112 appartenenti alle altre tre province); quasi 180 km di strada dal Capo di Leuca a Fasano (su 410 km di lunghezza totali della Puglia). Tra l’altro la Bat, istituita nel 2004 e attivata effettivamente con le elezioni di giugno 2009, è la terza provincia d’Italia con minor numero di comuni, 10 in tutto, dopo le province di Trieste e Prato. Una evidente “operazione politica” di matrice barese: divide et impera, dicevano i latini per evidenziare come il miglior espediente di un’autorità per governare un popolo fosse quello di dividerlo provocandone rivalità di ogni genere.

Ma la questione Salento è un’altra cosa (non mi stancherò mai di ripeterlo). Perfino la geologia è dalla parte della Regione Salento. La parte più pianeggiante -continua Scarlino-  quella che in tutti i testi scolastici viene definita “Tavoliere delle Puglie”, la più vasta pianura d’Italia dopo quella Padana, occupa e si identifica con la gran parte del territorio delle tre province salentine. Insomma, questo è il tema: Regione Salento, sì o no? Ogni argomento ci dà ragione; in particolare l’aspetto politico. Il Salento non può dipendere dal Baricentrismo di sinistra che sin dal 1970 lascia nell’oblio la nostra terra (tranne il decennio 1995/2005 di Di Staso e Fitto). È un problema politico. Il nord della Puglia non vuole perdere il potere, ma per comandare ha sempre avuto bisogno del Salento, che puntualmente ignora nei momenti importanti.

Le contraddizioni della politica sono tante: nascono nuove province anche con soli 10 comuni, poi le stesse vengono abolite, nel 2001 la fallimentare riforma costituzionale che ha introdotto lo pseudo-federalismo regionale; tutto ciò ha creato non poche difficoltà all’impianto costituzionale. Di converso non può nascere una nuova Regione con 146 comuni su 258. Perché? Poniamoci questo interrogativo. Per storia, geologia, geografia, appartenenza politica, produzione ed altro, il nostro Salento ha una storia a sé stante. La provincia di Terra d’Otranto, corrispondente all’attuale assetto geografico della Regione Salento, esisteva già prima della formazione dello Stato unitario e dopo l’unificazione venne chiamata anche di Lecce e comprendeva Brindisi, Taranto, Lecce e Gallipoli. Basterebbe tornare alla originaria conformazione geografica ed amministrativa. Con una ordinaria autonomia giuridica potremmo raggiungere quella economica (se non lo abbiamo già fatto considerati i settori economici in cui operiamo: dalla meccanica al tessile, dall’agricoltura al turismo, dall’artigianato ai servizi). Autarchia economica e autonomia giuridica. La prima potrebbe essere raggiunta grazie alla seconda. Basterebbe poter decidere in completa autonomia.

Insomma, la Regione Salento non è la Catalogna che vuole l’indipendenza dalla Spagna ed è diversa anche dal Veneto e dalla Lombardia le quali pretendono maggiore autonomia rispetto al governo centrale. E non si tratta di secessione, come qualcuno ha detto. L’architettura costituzionale non verrebbe minata. Nessuno statuto speciale per il Salento, il quale vuole solo essere riconosciuto come una entità territoriale avente una propria storia, una propria cultura e proprie tradizioni, che sono diverse da quelle delle altre realtà territoriali pugliesi; ma soprattutto il Salento non vuole essere “comandato” da Bari capoluogo, con i suoi interessi e con le sue regole.

Quello salentino è un popolo di lavoratori, di emigranti, di persone abituate al sacrificio e, perciò, di eccellenze in tutti i campi. Quando un salentino raggiunge un obiettivo importante, l’impegno che ha dovuto metterci per ottenerlo è tre volte maggiore di quello di ogni altro pugliese, perché per prendere un aereo deve percorrere distanze enormi, per raggiungere una meta in treno deve partire due giorni prima, per farsi consegnare la merce da un cargo marittimo deve mandare un autotrasportatore al porto di Bari, per studiare medicina deve soggiornare a Bari e spendere lì i soldi di vitto e alloggio, per consultare un libro importante deve trovare una biblioteca che ce l’abbia. Tutto questo perché non abbiamo alcun potere decisionale. Tutto si ferma a Bari, come Cristo si è fermato a Eboli. Non tralasciando il fatto che senza tutte queste infrastrutture e strutture spesso le eccellenze nemmeno emergono perché soffocate dalla strafottenza imperante.

Non si tratta di una maggiore autonomia -sottolinea- ma della normale autonomia che un territorio come il nostro dovrebbe avere. Senza alcuna soggezione alle lobby dei potenti, della finanza speculativa, delle banche che finanziano la politica e della quale si nutrono. Senza alcuna sottomissione ai potenti che ci utilizzano come ruota di scorta e che per essere tali hanno bisogno dei nostri numeri. Una ordinaria autonomia è quello che vogliamo: decidere da soli il destino del nostro territorio. Gasdotto sì o no, aeroporto sì o no, strade sì o no, discariche sì o no. Nei nostri sottosuoli rifiuti nocivi, veleni ed altro, sì o no.  Oggi a decidere per il Salento è Bari. Invece, chi dovrebbe decidere le sorti di un popolo? La domanda è ovvia. La risposta “Lo stesso popolo”, per alcuni, un po’ meno.  L’alternativa utile -conclude il commercialista- per porre fine al Baricentrismo ci sarebbe: spostare il capoluogo di regione nel Salento. In tal modo avremmo un vero porto a Gallipoli, un aeroporto a Galatina ed il Freccia Rossa tornerà a ripercorrere i binari salentini dopo essersi arenato per tanto tempo su quelli baresi per motivi … economici? Non fateci ridere”

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