Cronaca

Burgesi, 140 milioni di vecchie lire per comprare il silenzio sui veleni

UGENTO-  Due tranche, una da 65 milioni di lire e l’altra da 75. Soldi cash, contanti. Di fatto per comprare il silenzio sui veleni di Ugento. E’ quanto, davanti agli inquirenti, ha ammesso di aver intascato Gianluigi Rosafio, nome già noto alle cronache ambientali e genero del boss di Taurisano Pippi Calamita. Tanti soldi quelli che gli avrebbe dato un imprenditore molto noto nel Salento e di cui lui ha fatto nome e cognome davanti ai pm Elsa Valeria Mignone e Angela Rotondano. Un generoso “contributo per sostenere le spese legali del procedimento allora in corso a suo carico”, quello nato nel 2000 e che lo ha visto condannato in via definitiva per traffico illecito di rifiuti relativo al ritrovamento di fusti di Pcb nei pressi – ma all’esterno – della discarica Burgesi.
Non c’erano solo quelli, però. Altri 600, pieni zeppi di materiale altamente tossico, sarebbero stati prelevati da una società con sede a Seclì e sepolti all’interno di Burgesi, nel terzo lotto. All’apparenza, oltre che sui formulari di trasporto, si trattava di fanghi assimilabili a rifiuti solidi urbani, ma la rottura di un bidone, mentre la pala meccanica lo stava interrando, avrebbe svelato il vero contenuto.

Ecco perché quel “regalo” da 140 milioni di vecchie lire dell’imprenditore si può configurare come un modo per indurre Rosafio a cucirsi la bocca e non tirare in ballo, all’epoca, molti altri, che sapevano e che forse quel traffico lo hanno organizzato. Quei nomi sono venuti a galla tra il 2014 e il 2015, nelle dichiarazioni rese da Rosafio, in qualità di testimone e persona offesa, nell’ambito del procedimento per concussione, falso ed estorsione sulla gestione degli appalti nell’ex Ato Le2 con sede a Botrugno.

Un ulteriore scottante tassello di una vecchia storia, come ricostruito da Quotidiano in questi giorni. Un tassello dai reati ormai prescritti – motivo per cui i pm hanno chiesto l’archiviazione – ma dalle ripercussioni ambientali ancora attuali. Il telo impermeabile sta al momento impedendo la contaminazione della falda da policlorobifenili, potente cancerogeno, ma le analisi dei pozzi spia nell’area della discarica hanno dimostrato “inequivocabilmente” che lì “sono stati stoccati fusti contenenti Pcb”.

Da qui la richiesta della Procura a ministero dell’Ambiente, Regione e Comune di Ugento di adottare tutti i provvedimenti necessari alla bonifica del sito, visto “l’elevato rischio ambientale”.

L’incubo di Ugento si è risvegliato. E torna ad agitare anche altro, come le ombre sulla bonifica avvenuta nel 2005 e che, a detta di chi l’ha eseguita, l’imprenditore Bruno Colitti, è stata, invece, una ulteriore contaminazione del sito, con rifiuti tossici, come batterie, elettrodomestici, pneumatici e altro, che invece di essere stati rimossi sono stati pianati e sotterrati per livellare avvallamenti profondi anche trenta metri.

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