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Contro le mafie in ricordo di Falcone

BRINDISI-  Brindisi, aula magna dell’Itis Majorana. È un atmosfera quasi sacrale quella che si respira quando il generale Angiolo Pellegrini fa il suo ingresso nell’aula magna dell’istituto accompagnato da Chiara Solazzo e Paride Margheriti, responsabili entrambi dell’associazione antiracket-antimafia “R. Fonte” di Brindisi.
La cosa più strana, e senza dubbio la più affascinante, è che questo è l’atteggiamento di una generazione che, ai tempi in cui, chi a breve gli parlerà, era fianco del giudice Giovanni Falcone nella lotta alle mafie, non era ancora nata e quello che sa gli è stato riferito o lo ha appreso grazie ai libri di storia e alla tv. Ma, evidentemente, ci sono cose che non è strettamente necessario vivere in prima persona per sentirle proprie, che prevaricano il tempo riuscendo a pervadere gli animi di chiunque ne sia fatto partecipe.

Dopo una breve ma sentita introduzione fatta dal preside del tecnico industriale brindisino, sono proprio questi ultimi a prendere la parola, giusto il tempo di spiegare le ragioni della conferenza che hanno organizzato e quanto basta per cederla a uno dei protagonisti di una stagione che ha cambiato profondamente il nostro Paese e i cui effetti si riverberano ancora oggi. Così, quando il generale Pellegrini comincia a ripercorrere la sua esperienza di servitore dello Stato (cosa che ripeterà continuamente come fosse un mantra), partendo dal suo trasferimento, ancora giovane capitano, in Sicilia, alle difficoltà incontrate sin da subito nello svolgere il suo lavoro, l’attenzione degli studenti sale e non perché siano i docenti a tenerli per la corda ma perché, probabilmente, è il vibrare della voce di Pellegrini stesso e la sua lucidità espositiva e cronologica a farlo.

Una narrazione dei fatti interamente intesa come messaggio alle giovani generazioni perché possano sempre conservare e tramandare l’esempio che, il sacrificio di uomini, o di eroi come lui li definisce, come Dalla Chiesa, Chinnici, Montana, Cassarà e, appunto, Falcone e Borsellino, ci hanno consegnato. Non è un caso che il primo affondo, il generale, lo faccia proprio verso la scuola, troppo spesso colpevole indugiare su “programmi di storia interamente incentrati sul passato remoto e che trascurano l’importanza di quello più recente e delle sue ripercussioni sul presente e sul futuro”, critica che sembra voler rendere ancor più efficace quella fatta poco prima da Paride Margheriti, anch’egli vittima di mafia, secondo cui “commemorare è importante ma lo è ancor di più essere al fianco di chi la mafia la combatte tutti i giorni per non essere, poi, costretti ai soliti elogi di morte”.

Non usa mezzi termini, Pellegrini, soprattutto quando spiega che “se il terrorismo degli anni ’70 fu sconfitto è perché non interessava a nessuno mentre, la mafia, ha potuto insistere e perdurare fino ad oggi perché fa comodo a qualcuno” ma questo non deve comunque portare a scoraggiarsi, anzi!, l’invito che fa è quello di “denunciare sempre e comunque, senza mai piegarsi al compromesso che, così come dà, altrettanto, poi, chiede e con gli interessi”. Sferzante, ancora, la stoccata (complice anche una nostra domanda) verso l’indifferenza di molti anche, e soprattutto, nei confronti di certe fiction di oggi che tendono a descrivere i mafiosi quasi in foggia romanzesca invece che per quei criminali sanguinari che sono nella realtà.

Una punta di disapprovazione, a dire il vero, è stata mossa da una docente dell’istituto che ha voluto far presente ai relatori il diritto, soprattutto dei ragazzi, ad aver paura, cosa che, se è senz’altro vera, lo è ancor di più lo sprone (seguito da un forte applauso degli studenti) del generale proprio ad educare al coraggio perchè, come ci ha tenuto a rimarcare Margheriti in chiusura “se avere paura è un diritto, è un dovere avere coraggio!”.

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