CronacaPolitica

Disastro ambientale: 47 a giudizio, c’e anche Vendola

TARANTO-Anche per l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola si aprirà il processo, il 20 ottobre prossimo. Per lui come per gli altri 43 imputati e tre società per cui è stato disposto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta Ambiente Svenduto sul presunto disastro ambientale provocato dall’Ilva di Taranto. A deciderlo è stato il gup Vilma Gilli.

L’ipotesi di reato a carico di Nichi Vendola è di concussione aggravata. È accusato di aver fatto pressioni sul direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, perché ammorbidisse il suo atteggiamento sull’Ilva: così avrebbe consentito all’azienda di continuare a produrre senza riduzioni di emissioni inquinanti, come invece suggerito dall’Arpa in una nota del 21 giugno 2010 stilata dopo le rilevazioni dei picchi di benzoapirene, un potente cancerogeno.

“Sarei insincero se dicessi che sono sereno – ha commentato Vendola – ma vado a processo con la coscienza pulita”. A dibattimento anche Fabio e Nicola Riva, figli del patron Emilio (deceduto lo scorso anno) e proprietari del siderurgico; l’ex presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido; il sindaco del capoluogo ionico Ippazio Stefano, ma anche l’ex assessore regionale alla sanità Donato Pentassuglia; Luigi Pelaggi, l’ex capo della segreteria tecnica del ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo, e Dario Ticali, ex presidente della commissione ministeriale che rilasciò l’autorizzazione integrata ambientale alla fabbrica. Questi ultimi accusati di favoreggiamento nei confronti di Archinà.

Un “sistema” quello dell’Ilva, così oliato e così organizzato da asservire anche la politica. Le accuse per i due industriali, per l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, l’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, l’avvocato del Gruppo Riva Franco Perli e i cinque fiduciari che componevano il cosiddetto «governo ombra» nella fabbrica Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico Bessone, è di associazione a delinquere per aver controllato “l’emissione di provvedimenti autorizzativi nei confronti dello stabilimento Ilva” e per “consentire al predetto stabilimento la prosecuzione dell’attività produttiva”.

Stando alle indagini condotte dai carabinieri del Noe di Lecce e ai finanzieri di Taranto, sono manovre che avrebbero causato il disastro ambientale, l’omissione di cautele sui luoghi dove operavano i dipendenti, l’avvelenamento di sostanze alimentari.

Fabio Riva, in concorso con Archinà e con ex consulente della procura Lorenzo Liberti, deve difendersi anche dall’accusa di corruzione in atti giudiziari per aver versato, secondo i pubblici ministeri, una tangente di 10mila euro per ammorbidire una perizia sull’Ilva.

Cinque invece gli imputati giudicati con rito abbreviato. Tre sono stati assolti: si tratta del maresciallo dei carabinieri Giovanni Bardaro, dell’avvocato Donato Perrini e dell’ex assessore all’Ambiente Lorenzo Nicastro, che dopo la lettura del dispositivo è scoppiato a piangere. condannati invece il sacerdote don Marco Gerardo (10 mesi) e Roberto Primerano (3 anni e 4 mesi), già consulente della procura.

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