Cronaca

Triplicano le istanze per cavare petrolio a Leuca, rischio trivelle a 25 km dalla costa

LEUCA- Triplicano le richieste per cavare oro nero dal mare di Leuca e triplica anche l’area interessata, che arriva a quota 2.207 chilometri quadrati. Si avvicina così sempre di più alla costa il rischio trivelle: il secondo permesso richiesto dall’americana Global Med (denominato “d 89 F.R-.GM”) riguarda un tratto di mare distante appena 13,9 miglia, cioè 25 km da Punta Ristola.
A dirlo sono le istanze arrivate a 19 Comuni rivieraschi del Capo di Leuca. L’istruttoria è stata avviata dal Ministero dello Sviluppo Economico, però, solo su due. Sulla terza (“d 91 F.R-.GM”), infatti, è in corso una disputa: due società diverse hanno chiesto di esplorare lo stesso fondale, a nord dei primi due e dunque ancora più prossimo alla riviera salentina. A contenderselo sono la stessa Global Med e il duo Petroceltic Italia-Edison. Sarà il Mise a porre fine alla concorrenza, rilasciando il titolo minerario esclusivo a uno dei due colossi. Dunque, fino a quel momento, non saranno avviati rilievi geofisici. Ma lì e solo lì.

Si galoppa, invece, poco più a sud, negli altri due specchi acquei di esclusiva competenza della società con sede in Colorado. Le differenze, tuttavia, sono solo sulla carta: le procedure sono sdoppiate per una ragione squisitamente burocratica, in quanto i permessi non possono superare l’ampiezza di 750 chilometri quadrati ciascuno. La realtà, invece, dice che il tratto di Ionio settentrionale coinvolto è lo stesso e identica è anche l’azione che lì dev’essere svolta: acquisizione di centinaia di chilometri di linee sismiche 2D mediante tecnologia air gun e rilievi geofisici 3D. Dunque, in ogni caso, per capire se sotto il fondale di Leuca ci siano idrocarburi, si dovranno eseguire spari forti e continui di aria compressa. Una tecnica discussa e discutibile, proprio per le ripercussioni sulla fauna marina.

E non è tutto. “La società Global MED ha inoltre presentato altre tre istanze di permesso di ricerca, che si localizzano nell’off-shore calabrese al largo di Crotone e Capo Colonna; il più vicino all’area in esame è localizzato a 24,4 miglia nautiche dal lato occidentale dell’area in istanza” a Leuca. È scritto nello Studio di impatto ambientale.

Ma, è proprio il caso di dirlo, siamo circondati: “Nelle vicinanze, inoltre, insistono tre aree per le quali è stata fatta richiesta di permesso di prospezione geofisica in mare e che si collocano entrambe nell’Adriatico Meridionale in parziale sovrapposizione, ed infine un’altra che si trova nel centro del Golfo di Taranto, ad una distanza minima di circa 20,2 miglia nautiche dal vertice nordoccidentale dell’area in istanza. Per queste tre aree è stata presentata soltanto la richiesta di rilascio del permesso di prospezione, permesso che non è stato ancora conferito”. Senza dimenticare che ad est, “lungo il confine italo-greco, sono presenti nel settore in esame due aree relative all’esplorazione idrocarburi, messe all’asta da parte del Ministero dell’ambiente, dell’energia e dei cambiamenti climatici della Repubblica Ellenica (YPEKA) ma non ancora assegnate a nessun operatore”.

Il calcolo degli impatti cumulativi, a questo punto, diventa imprescindibile.

Tiziana Colluto

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