Cronaca

Riduzione in schiavitù nel fotovoltaico chiesto il processo per il caso Tecnova

LECCE- Modalità da caporalato e un capo d’imputazione pesante come pochi, quello di riduzione in servitù. Sono i punti fermi alla base della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm Alessio Coccioli e a carico di 15 indagati nell’ambito dell’inchiesta Tecnova. L’udienza preliminare si svolgerà il 17 dicembre di fronte al gip Giovanni Gallo.

È stata una delle pagine più difficili del lavoro nel Salento, la vertenza che ha portato a galla la portata di interessi milionari per i parchi fotovoltaici impiantati nel Leccese e Brindisino e la miseria delle condizioni di sfruttamento a cui erano costretti gli operai, quasi tutti africani, impiegati sui campi.

A tenere le redini di questa storia, che si è protratta fino ad aprile 2011, fino cioè alle proteste dei lavoratori non pagati, sarebbero stati tre cittadini spagnoli, Luis Miguel Cardenos Cardellanos, Luis Manuel Nunez Gutierrez e José Fernando Martinez Bascunana, rispettivamente socio, amministratore e socio amministratore di Tecnova Italia srl. Insieme alla 28enne brindisina Manuela Costabile, responsabile amministrativa della società, sono accusati di aver messo in piedi un’associazione a delinquere diretta a commettere il delitto di riduzione e mantenimento in servitù, estorsione aggravata e favoreggiamento della permanenza irregolare in Italia di cittadini privi di permesso di soggiorno o scaduto. Per gli altri indagati, le accuse sono, a vario titolo, di estorsione, procurato ingresso illecito e non versamento dei contribuiti ai sensi del Testo unico sull’immigrazione.

Sono 483 le persone offese, in massima parte stranieri provenienti da Guinea, Marocco, Senegal, Tunisia e altri Paesi. Tecnova avrebbe approfittato della loro situazione di necessità, facendoli guadagnare il minimo necessario e facendoli lavorare, nei cantieri di Collepasso, Francavilla Fontana, Galatina, Nardò e San Pancrazio, ininterrottamente e senza turni di riposo, costringendoli a prestazioni lavorative in condizioni inumane, degradanti e stressanti, con la minaccia della perdita del posto di lavoro se avessero protestato.

12 ore e più al giorno, anche il sabato fino a sera e i festivi, senza riposi, al buio e anche in giornate di pioggia torrenziale, nel fango, non consentendo neppure agli infortunati di protestare.

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