CronacaPolitica

Portaluri: «L’abolizione delle Province potrebbe essere solo una finzione»

LECCE- «Tutta una serie di ragioni fanno capire che potrebbe essere cambiato lo scenario politico: se così è, questo mutamento non è ancora chiaro ai cittadini». Il professore Pier Luigi Portaluri svela i possibili retroscena sia della riforma costituzionale per l’abolizione delle Province sia della legge Delrio. Via via che la legge Delrio si è andata discutendo in Parlamento, si è evoluta la situazione. All’inizio, nell’agosto del 2013, si era pensato a una manovra in tre tempi: prima si dovevano svuotare di poteri le Province; poi cancellare dalla Costituzione la stessa parola «Province»; infine, con una terza legge, cancellarne concretamente l’esistenza. In questo modo, sul territorio sarebbero rimasti operativi solo le Regioni, i Comuni e le Unioni di Comuni.

Oggi però sembra che l’intenzione del Governo sia un’altra. «Abolire il termine Province dalla Costituzione non significa nulla – avverte il professore Pier Luigi Portaluri – c’è il rischio che pur scomparendo dalla Costituzione la parola Province, esse continuino comunque a vivere». Insomma, con una riforma come quella proposta da Renzi, si rischia di avere enti provinciali che hanno poteri e funzioni notevoli e che possono rimanere indefinitiamente in vita. «Si pensi alle Unioni dei Comuni – chiosa il professore –: si tratta di enti che la Costituzione non conosce e non regola, ma che esistono ugualmente: un ente territoriale, insomma, non ha bisogno di essere previsto dalla Costituzione per essere attivo».

Ecco il possibile senso della riforma costituzionale contenuta nel disegno di legge 1429 del 2014: viene abolito il nome delle Province, l’etichetta; ma non la loro esistenza concreta. «Quello che era il disegno iniziale di abolizione vera e propria delle Province – spiega il professore – adesso sembra essere cambiato di fatto: le Province continueranno forse a operare e si peggiorerà la situazione, perché almeno le vecchie Province dovevano essere elette dai cittadini, le nuove solo dai Sindaci e dai consiglieri comunali e provinciali. In pratica, non risponderanno più del loro operato direttamente ai cittadini».

Portaluri sottolinea poi – a conferma di questa possibile lettura della manovra governativa – che una norma contenuta nella legge Delrio addirittura incentiva le Regioni a trasferire servizi di rilevanza economica alle nuove Province: un altro indizio che esse sopravvivranno molto probabimente alla cancellazione del loro nome dalla Costituzione.

Altra stranezza della riforma Renzi sono le città metropolitane. Nel resto dell’Europa ne esistono una decina appena: sono le megalopoli come Londra, Parigi, Madrid, etc. La Legge Delrio ha invece individuato dieci territori provinciali che sono stati valorizzati rispetto a tutti gli altri: sono stati chiamati città metropolitane, ma non hanno nulla a che fare con le vere città metropolitane, quelle europee. «Semplificando un po’ le cose, per fare un esempio la città metropolitana di Bari è in realtà la provincia di Bari. A queste dieci fortunate province è stato consentito di mettersi l’abito buono della festa, al solo fine di sedersi al grande banchetto dei finanziamenti europei: parliamo di miliardi di euro. Le altre, come Lecce, resteranno a guardare» – spiega il professore. Per Portaluri, l’unica mossa nell’immediato, per evitare la marginalizzazione, sarebbe quella di impegnarsi politicamente per inserire il Salento nel novero delle città metropolitane. Se sono state qualificate come (pseudo)città metropolitane ben dieci province (e altre potrebbero essere previste dalle Regioni a statuto speciale), non c’è ragione perché non lo possa essere anche il territorio salentino, magari includendo l’area brindisina: ve ne sarebbero tutti i presupposti, sia demografici sia di integrazione territoriale. Una battaglia non facile, mentre la politica è concentrata sulle “poltroncine” delle “provincette”, che potrebbero essere più o meno redditizie, a seconda di quello che succederà a Roma. A livello provinciale già si litiga: nel Pd c’è chi ha proposto le primarie e chi parla di scelta partecipata. Anche una carica di “presidentino” fa gola.

 

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