CronacaPolitica

Dopo via Brenta, via Adriatica: il Comune perde contro la Socoge

LECCE- Il Comune di Lecce perde la battaglia al Tar contro la Socoge. Stavolta non si tratta dei famigerati palazzi di via Brenta, costruiti sempre dalla società dei fratelli Guagnano, ma a quella storia questo nuovo atto è strettamente legato, perché riguarda i palazzi vicini a quelli sede del Tribunale civile, quelli subito dietro l’angolo, in via Adriatica, dirimpettai al Foro Boario.
La vicenda, complessa anche questa, prende le mosse nel 2009, nello stesso giorno in cui, nell’ambito dell’inchiesta per la presunta truffa su via Brenta, vennero arrestati il dirigente del Comune, Giuseppe Naccarelli, Pietro Guagnano, amministratore della Socoge, e Vincenzo Gallo, dirigente della Selmabipiemme Leasing, la società milanese proprietaria dei palazzi. È proprio del 20 ottobre di quell’anno, infatti, la determina con cui il dirigente del Settore Urbanistica ha provveduto all’annullamento della concessione edilizia rilasciata nel 2002 e le successive varianti del 2009 relativi ai fabbricati contigui. Nel mirino c’è non la costruzione in sé, bensì la destinazione d’uso degli immobili, commerciale al piano terra, uffici e studi professionali, negli altri quattro.

“Il progetto è stato interamente attuato secondo le autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Lecce”, ha sostenuto in giudizio la Socoge. Ma a costruzione terminata, nel luglio 2009, l’amministrazione ha comunicato l’avvio di un procedimento di annullamento dei titoli edilizi rilasciati, “ sul presupposto che gli immobili autorizzati e realizzati eccedessero i limiti stabiliti dalla normativa urbanistica per le destinazioni ad uso direzionale e commerciale nella zona B”.

Quel procedimento di autotutela si è concluso, appunto, nel giorno degli arresti per la vicenda di via Brenta, dando la stura al ricorso da parte della Socoge, ricorso che il Tar ha ritenuto fondato, considerando prevalente, essendo passato molto tempo, l’affidamento che il privato aveva riposto in quegli atti. I giudici di via Rubichi sono chiari: Palazzo Carafa avrebbe dovuto accertare entro un termine ragionevole l’illegittimità dell’atto e valutare anche la sussistenza di un interesse pubblico all’annullamento.

Insomma, non basta dire: “ci siamo sbagliati, bisogna ripristinare la legalità”, non quando un intervento di quel tipo, di 14mila mq di superficie, “è già stato interamente realizzato”, anche perché “nessuna valutazione è stata compiuta sulla possibilità di riconversione del fabbricato ad una destinazione residenziale ed eventualmente sui connessi oneri economici che comporterebbe”. Dunque, nelle mani del Comune ora ritorna la palla avvelenata: dovrà decidere se incassare la sconfitta o se rilanciare, con ricorso in appello, stavolta motivando più approfonditamente e chiarendo che cosa di quegli immobili vorrebbe farne.

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