Cronaca

Ulivi malati, sui campi la confusione regna sovrana

RACALE- A metà mattinata, il via vai comincia a farsi consistente. Qui, al frantoio sulla strada che collega Felline a Racale, arrivano con ogni mezzo per  portare il frutto del loro raccolto. Buono, quest’anno. Il prossimo non si sa. E per tutti la preoccupazione è la stessa.

Racale è uno degli epicentri della moria degli ulivi, nel cuore degli ottomila ettari colpiti dal batterio Xylella fastidiosa, che ha saputo correre veloce da Gallipoli ad Alezio, da Parabita a Ugento, fino a Lequile e Supersano. Basta ascoltare le parole di chi quella terra la lavora, anche solo per la propria famiglia, per capire che lasciare soli i contadini, come si sta facendo, a fronteggiare gli obblighi colturali imposti dalla Regione non porterà da nessuna parte.

La cooperativa Acli quest’anno festeggia il suo primo cinquantennio. Ha 600 soci e la prospettiva di non voler affatto rinunciare a un futuro che stava scrivendo meglio di prima, incamminandosi sulla strada dell’olio extravergine, della molitura di olive raccolte direttamente dagli alberi, oltre che della patata Seglinda Dop. Sfide, si sa. Da vincere o da perdere. Ma accettare di perderle per un batterio è impossibile.

È da qui che è partita una delle prime segnalazioni all’Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia, nella scorsa primavera. Ora, la consapevolezza è che bisogna fare una scelta: lasciare o raddoppiare. Rassegnarsi all’espianto degli ulivi rinsecchiti, ciò che trasformerebbe in deserto l’intero arco ionico, o alzare il tiro e iniziare una volta per tutte a porre l’olivicoltura al centro dell’economia salentina. Non l’eterna Cenerentola o la perla una tantum da esibire, ma il comparto più importante, più del turismo, che solitamente rappresenta il futuro, e più del Tac, che è il passato.

Ecco, bisogna calarsi  nelle storie, nei rumori, nelle attese, nella terra, per capirlo.

Nelle campagne, non tutti si affrettano. C’è chi la rimonda l’ha ripetuta, con la cura di lasciar seccare le ramaglie sul posto, pur correndo il rischio del furto di legna.

C’è chi, invece, non vuole o non può prendersi cura degli oliveti. E il risultato è che anche gli alberi che potrebbero salvarsi diventeranno sempre più irrecuperabili. E amen.

Il colpo d’occhio, da quassù, rende meglio l’idea. Le piante prendono a imbrunirsi. Tutto è successo in pochi mesi. Il rischio è che fra qualche tempo il manto bruno diventi quello preponderante, senza la messa in pratica degli interventi forti previsti dalla Regione. È che tra il dire e il fare c’è un abisso di conoscenza, volontà, interesse e costi non ancora calcolato. È su questo terreno che si gioca la vera partita. Ed è questa la posta in palio: un patrimonio che può trasformasi nello scenario spettrale degli ulivi completamente morti a Gallipoli. Sfide, si diceva. Da vincere o da perdere. Ma, sia chiaro, si possono perdere anche per inerzia, per menefreghismo, per psicosi e per il mancato governo di questa fase delicatissima, in cui ognuno, sul campo, sta facendo un po’ come gli pare.

 

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