Cronaca

Posidonia a S.Cataldo, discarica a cielo aperto

LECCE  –   Un iceberg di alghe, impastate a sabbia e a qualcos’altro. Lievitano ad ogni stagione, come il pane. Questa posidonia da anni avrebbe dovuto essere riutilizzata per combattere l’erosione o correttamente smaltita in discarica. A San Cataldo, però, è tutta un’altra storia e questo continua ad essere un tesoro sprecato.

Non è un caso che nel 2008 i Carabinieri del NOE eseguirono su questi accumuli un triplice sequestro. Sotto sigilli finirono due terreni su cui erano state stoccate abusivamente le alghe, oltre all’area comunale di entrambe le sponde del canale di sbocco a mare del porticciolo.

Il reato contestato: gestione di rifiuti urbani in mancanza delle prescritte autorizzazioni.

Le alghe marine, infatti, sono assimiliate agli RSU, in quanto rifiuti di qualunque provenienza o naturalmente giacenti sulle spiagge. Indagate 4 persone, tra cui i due proprietari dei terreni, il titolare della ditta che effettuò i lavori e un dirigente del Comune di Lecce. Nel frattempo, i terreni privati sono stati bonificati mentre, dopo 5 anni, sulla darsena la situazione continua a rimanere la stessa. Anzi, ancora peggiore. Lo dicono i pescatori, mentre riammagliano le reti: anche quest’anno, dopo il dragaggio invernale, le nuove alghe son state accumulate sempre ai bordi del canale. In attesa di un loro impiego fermo al palo di un progetto che ancora non ha maturato tutte le autorizzazioni richieste.

La legge è chiara. Si mantengono in loco gli accumuli di alghe spiaggiate, la migliore soluzione dal punto di vista ecologico, ma poco consona nelle aree fruibili perchè dà vita a fenomeni di putrefazione. A questo punto, la normativa prevede che la Posidonia possa essere stoccata a terra, per essere riposizionata sull’arenile in inverno e rimossa in estate, in aree appositamente individuate. Infine, si stabilisce, altrimenti, che debba essere trasferita in discarica.

A Lecce  invece rimane qui in attesa, si diceva, di un progetto per il momento ancora fermo. È quello del Comune di Lecce, che prevede il riutilizzo per rimpolpare le dune ferite dal passaggio dei carri armati nella zona militare di Torre Veneri. Una sperimentazione messa in piedi con l’Università del Salento, ma che ancora attende il nulla osta da parte del comando regionale dell’Esercito  Italiano a Bari.

80.000 €, però, che saranno spesi contro l’erosione non di una spiaggia libera, frequentata dai bagnanti, ma di una zona oggettivamente inaccessibile. Oltre al danno, la beffa?

 

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