Cronaca

I radicali ricordano Durante: “Nè la pena di morte, nè la morte di pena”

NARDO’ (LE)  –  Non è un atto d’accusa, quello di Ornella Chiffi: la morte di carcere di Gregorio Durante, avvenuta il 31 dicembre del 2011, è un fatto. Come è un fatto che per quella morte siano stati rinviati a giudizio 5 medici del carcere di Trani.

Quella morte scosse profondamente Nardò, città di appartenenza di Gregorio Durante che non portava un cognome qualunque: il padre, Pippi Durante, è all’ergastolo come esecutore materiale dell’omicidio di Renata Fonte, l’Assessore comunale che si batteva per l’integrità di Porto Selvaggio.

Pesò, quel cognome, sulla morte di suo figlio Gregorio, malato e detenuto nel carcere di Trani?

Il processo stabilirà, ovviamente, torti e ragioni. Ma è ovvio che per una madre che ha seguito passo dopo passo la malattia, l’agonia e poi la morte del figlio in carcere, quei torti e quelle ragioni siano già chiarissime.

La storia di Gregorio Durante è stata al centro di un affollato convegno, nel Chiostro di Sant’Antonio, moderato dal giuseppe tarantino e organizzato dalla comunità ‘Andare Oltre’, rappresentata dal Consigliere comunale Pippi Mellone.

Una storia estrema che racconta numeri meno conosciuti, snocciolati dal delegato dell’organismo unitario dell’avvocatura, Giuseppe Bonsegna: ad esempio i numeri di quel 40% di detenuti che sono in carcere in custodia cautelare, cioè prima che un tribunale abbia deciso se sono colpevoli e innocenti.

Una storia che, per il rappresentante di ‘Nessuno tocchi Caino’, Sergio D’Elia, che si candida a tornare in Parlamento con la lista radicale ‘Amnistia, Giustizia e Libertà’ racconta anche che nell’Italia che ufficialmente si batte contro la pena di morte, esiste però ancora la morte di pena.

Lo Stato, troppo spesso, è il primo a violare le leggi che si è dato sul carcere: in termini di tollerabilità della detenzione, di sanità penitenziaria, di pene alternative.

Ne è ben consapevole, ad esempio, Antonio Fullone: da un anno Direttore del carcere di Lecce, sta cercando di umanizzare uno dei più grandi penitenziari del sud Italia. Un’impresa difficilissima, per le stesse dimensioni di Borgo San Nicola, e svolta spesso nell’indifferenza dei grandi partiti. Eppure quale nodo più grande, per la politica, della giustizia e anche del carcere?

Una cosa, comunque la si pensi, è certa: come scrisse voltaire, la civiltà di un paese si misura anche e soprattutto dallo stato delle sue carceri. Cioè nella capacità di governare la violenza, anche la propria; di non scambiare la giustizia con la vendetta.

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