Cronaca

La provocazione di Saviano: “Django? E’ nei campi di Nardò”

“Django mi ricorda gli schiavi di Lecce”. Un titolo che è un pugno nello stomaco a pagina 7 de ‘L’espresso’ in edicola oggi, con una firma pesante come quella di Roberto Saviano. Lo scrittore antimafia aveva già portato la vicenda del caporalato a Nardò agli onori della prima serata della tv nazionale in due seguitissime puntate dei suoi programmi in tandem con Fabio Fazio, ‘Quello che (non) ho’ e ‘Che tempo che fa’, con la partecipazione in entrambi i casi di Yvan Sagnet, lo studente camerunense che andò nei campi di Nardò con l’intenzione di pagarsi gli studi e scoprì che caporalato e lavoro nero, la facevano da padrone.

La vicenda, scoperchiata da una serie di lavori giornalistici d’inchiesta, è culminata con l’operazione ‘Sabr’, basata sulle denunce di alcuni dei braccianti sfruttati, sulle indagini dei ROS e sull’inchiesta della Magistratura.

Il 31 gennaio scorso in Corte d’Assise a Lecce è iniziato il processo, che vede imputati 16 persone tra caporali africani e imprenditori italiani.

Con un’accusa pesantissima, sostenuta dal Sostituto Procuratore Elsa Valeria Mignone: aver ridotto in schiavitù i braccianti di Nardò.

Parte civile la Regione Puglia, la Flai-Cgil, l’associazione ‘Finisterre’. Non il Comune di Nardò, con una decisione che ha fatto scoppiare le polemiche e con la quale polemizza anche Saviano.

“La notizia che lascia più interdetti è che il Comune di Nardò ha deciso di non costituirsi parte civile”, dice lo scrittore antimafia, che parte da una sua personalissima recensione di ‘Django‘, l’ultima pellicola di Quentin Tarantino che riscrive la storia di uno schiavo negro nel Texas dello schiavismo.

E fa un parallelo forte con il processo che si è aperto a Lecce rivolto a chi avrebbe schiavizzato i braccianti di Nardò. Con un messaggio finale: “Ci sarà un processo – dice Saviano – e dovviamo aspettarne gli esiti per valutare torti e ragioni, ma un invito voglio farlo dobbiamo essere tutti dalla stessa parte, che è una: quella di chi è stato prelevato dalla sua terra con la promessa di una vita migliore, di chi è stato ingannato, derubato, sfruttato e umiliato. Così facendo – conclude – non denigreremo la nostra terra, come vuole farci credere chi preferisce il silenzio alla denuncia, ma contribuiremo a costruire un’Italia, per la prima volta, davvero multietnica”.

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