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Mammoccione incompiuto: il danno e la beffa

 Oltre al danno da 10 milioni, la beffa da 300.000 eurotutti soldi rigorosamente pubblici, ovviamente.  Se non facesse indignare, la storia infinita del mammoccione di Santa Cesarea farebbe quasi sorridere: una colata di cemento su uno dei crinali più belli del Salento diventata un’incompiuta, simbolo dei pastrocchi di cui è capace un pezzo di classe dirigente salentina.

Riassunto, brevissimo, delle puntate precedenti: il mammoccione è l’edificio nato per essere il nuovo centro termale di Santa Cesarea. Con esso il Comune voleva entrare in competizione con le Terme nell’accoglienza dei turisti richiamati dalle acque sulfuree della cittadina in riva all’Adriatico.

Una cattedrale del benessere costata circa 19 milioni di euro, oggi abbandonata e distrutta.

Nel 2006 le Terme di Santa Cesarea prendono in carico il mammoccione dal Comune e ottiene un finanziamento da 10 milioni di euro dal Ministero del Turismo. Quando i lavori di ristrutturazione stanno per cominciare, interviene la Magistratura con un sequestro; secondo il PM Imerio Tramis quello stabile non può beneficiare di un doppio finanziamento, uno per costruirlo e uno per ristrutturarlo.

L’inchiesta della Magistratura finirà praticamente in una bolla di sapone, ma le Terme di Santa Cesarea allora annullano in autotutela l’appalto da 10 milioni di euro e quei soldi tornano al Ministero, mentre il mammoccione affonda ancora di più nel degrado.

E questo è il danno, incredibile: ad esso si è aggiunto, sabato scorso, la beffa della sentenza del Consiglio di Stato.

A fare causa alle Terme di Santa Cesarea è stata la Edilcostruzioni, ovvero l’azienda che a suo tempo aveva vinto l’appalto per i lavori nel mammoccione e che si era visto sfumare la commessa da 10 milioni di euro.

Difesi dagli Avvocati Pietro e Luigi Quinto si erano visti prima riconoscere il danno vivo dal TAR di Lecce, per 40.000 euro: ma non contenti, hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, che ha accolto le loro ragioni e in soldoni ha condannato le Terme di Santa Cesarea a risarcire tutte le spese inerenti “la elaborazione dell’offerta, la progettazione e pianificazione della commessa nella fase precedente la gara, le spese sostenute per le polizze fideiussorie e più in generale tutte le spese comunque riconducibili all’attività svolta per la partecipazione alla gara”, ma anche “la retribuzione del personale dipendente all’interno della società e le spese generali per il funzionamento della struttura aziendale”.

Conto finale: circa 300.000 euro, il conto salato che la collettività paga per non aver neanche toccato quello che poteva essere uno straordinario polo dell’economia turistica e si è trasformato nella più grande incompiuta del Salento.

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