Politica

Riordino delle Province, tanto rumore per nulla!

Tanto rumore per nulla: del riordino delle Province non se ne farà più niente. Alla faccia di delibere, compensazioni fra territori, contatti, riunioni, vertici, cambi di fronte e polemiche inter-istituzionali.

E le amare verità che restano sul tappeto sono 2: la prima, che riguarda l’Italia, è che l’unica riforma costituzionale tentata dal Governo Monti è naufragata fra gli scogli del campanilismo.

La seconda, che riguarda il Salento, è che alla prova dei fatti l’unità del territorio si è rotta, alla faccia di molte firme, molti protocolli e molte intese.

Ma andiamo con ordine, partendo dai fatti: è stata la Prima Commissione Affari Costituzionali del Senato a dover prendere atto dell’impossibilità di convertire in tempo utile il Decreto Legge sul riordino delle Province, né di prorogarlo con il Governo Monti, ormai dimissionario.

A far naufragare il testo, sono stati gli oltre 140 sub-emendamenti presentati, la cui discussione avrebbe procrastinato oltre misura i tempi per una possibile approvazione. Tutti o quasi tutti, tesi a sollevare un’eccezione per conservare l’Ente Provincia, in considerazione al territorio: quello troppo montano e quello troppo isolato, quello troppo esposto alla criminalità organizzata e quello troppo popolato da aziende e fabbriche. Eccetera, eccetera, eccetera: il risultato è che, applicando tutte le eccezioni, il numero delle Province sarebbe rimaste tale e quale.

Deluso il Ministro per la Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi, anima della riforma: Il Governo ha fatto ciò che doveva fare, ma la situazione non si poteva sbrogliare”. Il più deluso di tutti è apparso alla fine il Presidente dell’Unione Province Italiane Antonio Saitta, che ha accusato “i localismi e chi vuole conservare così com’è l’organizzazione attuale dello Stato”.

E se questa è un’accusa generale, a tutti gli effetti valida, non c’è dubbio che nel Salento il fallimento della riforma porta con sé qualche insegnamento in più. Ad esempio che il Grande Salento è una grande ipocrisia. E che praticamente nessuno dei Presidenti di Provincia o di Sindaci di città-capoluogo, potrà più salire in cattedra a parlare di unione del territorio.

Perché di fronte al riordino, la Provincia di Lecce ha preferito rinchiudersi nella propria autosufficienza, invece, che lanciare il cuore oltre l’ostacolo.

La Provincia di Taranto ha preferito rinchiudersi nell’importanza della propria città-capoluogo e della diversità tra una parte del suo territorio e una parte del leccese.

E la Provincia di Brindisi, rinchiusa all’angolo, non ha saputo a che Santo votarsi, se a S.Cataldo o a S.Oronzo. E ha fatto la parte dell’asino di Buridano, che non sapendo decidersi tra mangiare paglia o mangiare fieno, morì di fame.

Ora il mancato riordino fa piazza pulita di queste chiusure e di queste indecisioni. E forse, di fronte al pasticcio poco convincente che dal riordino salentino stava nascendo, è anche meglio così. Sta di fatto però che ora tocca a tutti riflettere: a Presidenti e Sindaci, a Consiglieri e Assessori, a imprenditori e professionisti, alla classe dirigente e alla gente comune. Perchè – nel bene o nel male – l’occasione era grande ed è andata sprecata per egoismi piccoli, piccoli.

 

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